Eldrado, l’uomo il Santo
Il Tesoro di Eldrado
Nel giugno 1998 l’allora vescovo di Susa, mons. Vittorio Bernardetto, autorizzò l’apertura dell’urna reliquiario di S. Eldrado, conservata presso la parrocchiale di S. Stefano di Novalesa, al fine di verificarne il contenuto e di permettere il restauro del manufatto. L’urna non veniva ispezionata dall’ultimo quarto del Settecento, quando fu fatta aprire dall’ultimo abate commendatario di Novalesa, Pietro Antonio Sineo.
All’interno della cassa furono rinvenuti due nuclei di resti umani avvolti in pezzuole di lino e seta, contraddistinti con i cartigli S.tus Eldradus abbas e S.tus Arnulfus eps et confessor, una terza pezzuola priva di cartiglio, contenente anch’essa resti umani, e quattro reliquiari minori nei quali erano inseriti piccoli sacchetti con altre reliquie (Bertolotto 2000, pp. 98-99). In particolare, nell’urna si conservavano un piccolo cofanetto reliquiario in osso, opera di manifattura barbarica risalente alla fine del VI o all’inizio del VII secolo, una pisside in legno a vista e due altre pissidi, sempre in legno, decorate rispettivamente con motivi a nastri e tralci e motivi a onde e petali, databili tra l’XI e il XII secolo. Il cofanetto reliquiario custodiva una reliquia di S. Andrea Apostolo entro una croce pettorale in bronzo; una reliquia di S. Nicola in un sacchetto di seta ornato dalla raffigurazione della scelta di S. Giuseppe quale sposo della Vergine (studiato e datato successivamente tra il IV e il VI secolo); un sacchetto di lino bianco contenente reliquie dei SS. Cosma e Damiano; un sacchetto di stoffa porpora con una reliquia del Beato Teobaldo eremita; un sacchetto di lino bianco contenente una reliquia di S. Vincenzo. La pisside in legno naturale conservava al proprio interno un sacchetto di reliquie non identificate, mentre le altre due pissidi custodivano rispettivamente un sasso della lapidazione di S. Stefano, un sacchetto di lino con frammenti di capelli e barba del Beato Gregorio, una reliquia di S. Lorenzo, polvere del sepolcro di S. Giovanni Battista e un sacchettino di reliquie anonime (Colombo 2006; Uggè 2006 b; Uggè 2006 c).
Alcuni mesi più tardi, il 7 dicembre 1998, il prof. Giacomo Giacobini dell’Università di Torino provvide ad analizzare i resti rinvenuti e, nel caso di quelli attribuiti a sant’Eldrado, stabilì che si trattava delle ossa di un unico individuo di sesso maschile e di età matura, deceduto all’incirca all’età di 60 anni, il quale presentava una costituzione robusta, un’altezza di circa 165 cm e un particolare sviluppo delle masse muscolari soprattutto negli arti inferiori. Tale descrizione porterebbe dunque ad ipotizzare che i resti umani oggetto di indagine possano essere quelli di un personaggio che nel corso della propria esistenza camminò molto, non ebbe particolari problemi di malnutrizione e non fu costantemente dedito a lavori agricoli o manuali che comportassero uno sviluppo particolare della muscolatura delle braccia. Tutti elementi che ben si potrebbero associare alla figura di un monaco medievale e che concorderebbero con quanto viene presentato, rispetto alla vita di Eldrado, nel ciclo affrescato che decora la prima campata della cappella dedicata al santo, sita nel recinto abbaziale di Novalesa (Giacobini 2000, pp. 95-96).
L’analisi delle reliquie a cui si è accennato poco sopra ha una particolare importanza poiché ha consentito, pur con tutte le cautele del caso, di rivestire di “fisicità” un personaggio fondamentale per la storia religiosa della Valle di Susa, la cui esatta biografia è però problematica da ricostruire.
Due fonti documentarie puntuali, datate rispettivamente all’825 e all’827, ci permettono di fissare l’abbaziato di Eldrado a Novalesa alla prima metà, o meglio al secondo quarto del IX secolo, mentre altre fonti narrative consentono di precisare ulteriormente la figura del santo (Cipolla 1898, pp. 71-80; Zonato 2013, p. 29, n.5).
Di esse, quella più omogenea è costituita dalla Vita soluto sermone scripta, il cui testo è stato edito da Carlo Cipolla nei Monumenta Novaliciensia Vetustiora (Cipolla 1898, p. 378). Brevi notizie sulla vita di Eldrado sono inoltre fornite da una postilla, riferibile ad un’epoca tra l’inizio e la prima metà del sec. XI, aggiunta in margine alla tabella relativa alla Depositio beati Helderadi abbatis, contenuta nel manoscritto del Martyrologium Adonis proveniente dall’Abbazia di Novalesa e ora conservato a Berlino (Zonato 2013, p. 29, n. 8). Una terza fonte è invece costituita dalle Lectiones I–VIII dell’Officium sancti Eldradi confessoris et abbatis, sempre edito da Cipolla nei Monumenta Novaliciensia Vetustiora (Cipolla 1898, pp. 350-363). Inoltre, poiché in tutte e tre le precitate fonti compaiono intere frasi costituite da ottonari, è stata ipotizzata l’esistenza anche di una Vita rhythmica, scritta appunto in ottonari, ora non più conservata (Tamburrino 1989, pp. 143-159; Zonato 2013, p. 29, n. 13). Notizie su Eldrado fornisce poi il Chronicon Novaliciense, il cui autore, attivo nel secolo XI, dovrebbe aver avuto a disposizione fonti orali e scritte diverse per narrare della vita, dei miracoli e delle virtù del santo (Alessio 2000, pp. 33-49). Da ultimo, un piccolo frammento di una vita di S. Eldrado risalente al XII sec., costituito da poche righe superstiti di un testo più ampio, si conserva presso l’Archivio Storico Capitolare di San Giusto di Susa (ASDS, Fondo Archivio Storico Capitolare di S. Giusto, mazzo 25, cartella 21, fascicolo 5).
Secondo tutte le fonti Eldrado sarebbe nato nell’antica Provincia Narbonese, in una località denominata variamente “locus Ambillis”, “Amboliacensis oppidum”, “Ambelliacensis oppidum”, “castellum Ambelli”, sito nei pressi di un “Dederausus fluvium”. Don Jean-Louis Rochex, autore nel 1670 de La Gloire de l’Abbaye et vallée de la Novalese (Rochex 2004), identificò tale località con Lambesc, cittadina provenzale sita a ridosso della pianura a sud del corso della Durance, mentre Carlo Cipolla formulò una seconda interpretazione, sposata dalla maggior parte della storiografia successiva, identificando il luogo di nascita di Eldrado con Ambel, borgo del Département de l’Isère sito a 35 km da Gap e bagnato dal fiume Drac.
Le fonti non consentono di ricavare la data precisa di nascita di Eldrado né forniscono, per gli anni che precedettero il suo arrivo a Novalesa, notizie più precise che non siano generiche attribuzioni di virtù. In base a quanto da esse riportate, risulta che egli mostrò una particolare attenzione verso i poveri e i pellegrini, per i quali fece costruire dei ricoveri nel suo paese d’origine, dove fece anche edificare una chiesa dedicata a S. Pietro; esse narrano poi di un suo pellegrinaggio attraverso la Gallia, la Provenza, l’Aquitania e la Spagna alla ricerca di un luogo nel quale si vivesse con integrità la regola monastica, cosa che trovò presso l’abbazia di Novalesa, in un momento di grande splendore della vita di quel monastero, nel quale fu accolto dall’abate Amblulfo. Dette prova da subito di grande impegno nell’apprendimento delle regole religiose, traendo spunto dall’esempio dei migliori tra i monaci. Vi restò come semplice monaco per alcuni anni e, dopo la morte dell’abate Ugo, secondo la tradizione figlio naturale di Carlo Magno, divenne egli stesso abate, conservando tale carica fino alla morte.
In qualità di abate, Eldrado è ricordato dal Chronicon Novaliciense come un uomo “fulgido di santità, pieno di sapienza, illustre per i miracoli, che rafforzò il monastero” (Alessio 2000 a, pp. 40-41). Posto a capo di un’abbazia situata in un’area strategica, ebbe rapporti con i sovrani franchi, riuscendo a ottenere, forse anche grazie alla sua origine altolocata, alcuni benefici: il 14 febbraio 825 ricevette infatti dall’imperatore Lotario il monastero di Pagno, nel saluzzese, come ricompensa per i beni che erano stati sottratti all’abbazia dal precedente sovrano, Ludovico il Pio, in occasione della fondazione dell’ospizio di S. Maria sul Moncenisio (Cancian 2006 b). Sempre grazie ai suoi buoni rapporti con il potere centrale, ottenne che Bosone, messo dell’imperatore, definisse in suo favore – in una sentenza del maggio dell’827 – una causa riferita a diritti dell’abbazia nel territorio della villa Auciatis (identificata con Oulx o con Aussois o, ancora, con Osasco). Sempre nell’825, pare che Eldrado sia stato presente a Mâcon, come testimone di uno scambio di importanti beni immobiliari tra Ildebrando, vescovo di quella città, e un certo conte Warinum (Ragut 1864, pp. 42-44).
La fama di Eldrado è inoltre legata all’attività culturale da lui promossa durante gli anni in cui resse l’abbazia novalicense, la quale è documentata e si inserisce nel quadro del programma propugnato dagli imperatori carolingi con i quali Novalesa ebbe strettissimi rapporti (Alessio 2000 b, p. 46). Egli fu in particolare attento ad arricchire la biblioteca monastica di nuovi manoscritti, che venivano copiati nello scriptorium, e si impegnò affinché i libri liturgici (evangeliari, salteri, Bibbie) fossero corretti e ben leggibili. Significativa, a questo proposito, è la corrispondenza intercorsa tra Eldrado e Floro (Alessio 2000 a, pp. 199-217), diacono della Chiesa di Lione, presso la quale si trovava una delle più importanti scuole episcopali del tempo; in particolare, Eldrado richiese al diacono lionese un accurato lavoro di revisione critico-filologica del Salterio per riportarlo, anche attraverso il confronto con i vari codici, alla sua lezione originale. La richiesta di Eldrado a Floro era giustificata anche dal fatto che il Salterio rappresentava allora, oltre che un libro di preghiere, un testo scolastico usato per gli esercizi di lettura. La lettera di Eldrado a Floro non ci è pervenuta, ma il suo contenuto può essere ricostruito attraverso la risposta che Floro trasmise all’abate novalicense, facendolo oggetto di rispettosa riverenza e dedicandogli un carme nel quale l’autore si rivolgeva all’abate chiamandolo “pater optimus” e lo pregava anche di svolgere una vigile opera perché ciò che con grande sforzo era stato corretto, tale potesse rimanere (Alessio 2000 a, pp. 214-217; Zonato 2013, p. 29, n. 21).
Gli stessi presupposti di correttezza filologica giustificano la polemica che Eldrado ebbe con Claudio, vescovo di Torino, circa la lotta da quest’ultimo intrapresa contro il culto delle immagini sacre: il vescovo torinese aveva infatti vietato nella sua diocesi il culto delle reliquie e della Croce e aveva fatto togliere dalle chiese le immagini dei santi. In relazione a questa disputa è stato attribuito a Eldrado, sia pure con le dovute cautele, il frammento De imaginibus, che affronta il problema dell’adorazione della Croce (Cipolla 1898, pp. 428-429; Segre Montel 1977, p. 225). Questa controversia iconoclasta è da inserirsi in un panorama culturale e dottrinale più ampio che vide l’intervento dei maggiori esponenti della cultura dell’epoca, quali Giona d’Orléans, Eginardo, ecc. La compilazione del De imaginibus sarebbe da mettere in relazione, oltre che con l’accusa di eresia mossa al vescovo torinese, anche con l’orientamento prevalente in Francia dove una vera e propria superstizione popolare tendeva a trasformare in idolatria il culto legittimo delle immagini sacre, distaccandosi dalla linea ortodossa fissata nel concilio di Nicea del 787.
Non si conosce di più sull’attività letteraria di Eldrado, che come abate applicò la riforma decretata dal Sinodo monastico di Aquisgrana, uscita dalle mani di Benedetto d’Aniane e resa obbligatoria per tutto il territorio franco dall’imperatore Ludovico il Pio. Come unica era la professione di tutti, così doveva divenire identica in tutti i monasteri anche la consuetudine di vita e di preghiera (Zonato 2013, p. 29, n. 23).
Eldrado morì il 13 marzo, come risulta dalla Vita soluto sermone scripta e dalla postilla al Martyrologium Adonis, di un anno non precisato intorno all’840.
A diffondere la fama di santità e il culto di Eldrado, non solo a Novalesa e in Valle di Susa, ma anche nelle vicine valli della Maurienne e del Briançonnais, contribuirono certamente i numerosi miracoli a lui attribuiti in vita e dopo la morte, dei quali erano beneficiari soprattutto le classi più umili, i bambini e le donne (Tamburrino 1989, pp. 154-157). Tra di essi, merita di essere ricordato il cosiddetto miracolo dei serpenti, grazie al quale l’abate avevrebbe liberato un villaggio identificato con l’attuale Monêtier-les-Bains, nella Valle della Guisane, dalla minaccia dei rettili che l’infestavano.
Della particolare considerazione in cui era tenuto Eldrado tra gli abati di Novalesa fa fede, ovviamente, la dedicazione a lui di una cappella nel recinto dell’abbazia, riferibile alla metà del sec. XI. In essa, il più volte citato ciclo di affreschi, datato dalla critica al 1096-97 (Segre Montel 1988, pp. 161-181), occupa la prima campata e illustra scene della vita del santo: Eldrado nel “locus Ambillis”, intento a zappare la vigna; Eldrado in veste di pellegrino, accolto da un sacerdos; Eldrado che giunge al monastero di Novalesa; Eldrado che riceve l’abito monastico dalle mani dell’abate Amblulfo; Eldrado che compie il miracolo dei serpenti a Monêtier-les-Bains; Eldrado che muore attorniato da due fratelli religiosi.
Alcuni secoli dopo la sua morte si volle testimoniare la grandezza di Eldrado riponendone il corpo, che già il Chronicon Novaliciense indica come sepolto “infra techam dignissimam”, nella splendida cassa reliquiario in argento sbalzato, a forma di sarcofago, conservata ancora oggi nella chiesa parrocchiale di Novalesa dove venne trasportata alla fine del sec. XVIII alla chiusura del monastero in epoca rivoluzionaria. Il reliquiario, attribuibile per il Cipolla al XIII sec., è stato invece più correttamente assegnato alla seconda metà del XII secolo da Heribert Reiners (Reiners 1942), secondo un’ipotesi poi ripresa e confermata da Giovanni Romano (Romano 1977) e Daniel Thurre. Allo stesso secolo è inoltre databile l’affresco che si trova nel chiostro dell’abbazia, e che rappresenta Eldrado nell’atto di presentare al Cristo in trono una certa Clara, forse una benefattrice. Entrambe le opere d’arte, realizzate circa un secolo dopo il ritorno dei monaci a Novalesa, testimoniano l’attenzione particolare alla memoria del santo abate.
Ancora oggi, infine, la festa di Eldrado viene celebrata la domenica dopo il 13 marzo con una solenne processione alla quale partecipano varie confraternite, gran parte della popolazione di Novalesa, di Venaus, della Val Cenischia e fedeli provenienti dalla Maurienne, in un momento di simbolico raccordo tra gli abitanti delle terre al di qua e al di là delle Alpi, a ricordo del ruolo in questo senso svolto dall’abbazia di Novalesa nei momenti del suo maggiore splendore.
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