Haveva quel monasterio una libreria sì bella e ricca, che poche altre sole potevano pareggiare…

La biblioteca della Novalesa fu una delle più importanti e splendide dell’antico Piemonte, in pieno fulgore già nel IX secolo, cent’anni dopo la fondazione del monastero. Lo splendore della raccolta libraria si legò alla rinascita culturale promossa dai Carolingi, in cui la parola scritta assunse un ruolo fondamentale per il governo e l’amministrazione: la produzione e diffusione dei libri passò inevitabilmente attraverso la riorganizzazione delle biblioteche monastiche (McKitterik 1989) in cui, grazie alla circolazione di nuovi modelli e al recupero dei fondamenti scritturali ed esegetici, si incominciò ad attuare la riforma liturgica auspicata ed esplicitata negli editti Capitulare primum, Epistola de litteris colendis  e Admonitio generalis. 


Testi consultabili

Torino

Archivio di Stato – Corte

San Cesario di Arles, Omelie, frammento (2 ff grandi con camicia), IX secolo.
Collocazione: J.b.II.1, cartella 15
Appartenenza a Novalesa accertata al 100%


Cesario di Arles, Omelie (in particolare Commento alle Regola di Benedetto, 2 ff e camicia), metà del IX secolo
Collocazione: J.b.II.1 cartella 3
Appartenenza a Novalesa accertata al 100%


Beda, Omelie, frammento (1 f e camicia), X-XI secolo
Collocazione: J.b.II.1, cartella 18
Appartenenza a Novalesa accertata al 100%


Libro “de computo”, frammento (1 f con camicia), inizio XI secolo
Collocazione: J.b.II.1, cartella 9
Appartenenza a Novalesa accertata al 100%


Chronicon Novaliciense
Collocazione: Museo storico
Appartenenza a Novalesa accertata al 100%


Biblia Magna (con 10 frammenti recuperati dalla legatura e 2 bifolii con la Description de la Novalaise (XVIII sec.), inizio XI secolo
Collocazione: J.b.I.1, cartella 15


Commento anonimo alla Regola San Benedetto, frammento, inizio XI secolo
Collocazione: J.b.II.1, cartella 3


Messale, frammento (2 ff con camicia e 2 ff grandi con camicia), XIII secolo
Collocazione: J.b.II.1, cartella 4 e 11
Appartenenza a Novalesa accertata al 100%


Messale, frammento (2 ff e camicia), XIV-XV secolo
Collocazione: J.b.II.1, cartella 17
Appartenenza a Novalesa accertata al 100%

Torino

Archivio di Stato – Sezioni Riunite

Gregorio Magno, Moralia, frammento, inizio XI secolo
Collocazione: Archivio Generale dell’Economato, Novalesa, busta III


Messale, frammento, XIII secolo
Collocazione: Archivio Generale dell’Economato, Novalesa, busta II

Torino

Biblioteca Reale

Graduale cum notis iudicalibus, inizio XI secolo
Collocazione: ms. Varia 1

Torino

Biblioteca Nazionale Universitaria

Cassianus, De instituti coenobium et conlationes, seconda metà dell’XI secolo
Collocazione: ms. I.II.13

Appartenenza a Novalesa accertata al 100%


Jacopo da Varagine, Legenda Sanctorum; segue Passio Domini nostri Ihesu Christi, 1466
Collocazione: ms. I.II.13

Susa

Biblioteca Diocesana

Messale, 1150 ca.

Collocazione:

Novalesa

Biblioteca storica dell’abbazia

Regula Sancti Benedicti et alia, ultimo quarto dell’XI secolo
Collocazione: ms. I Man D.I

Vercelli

Biblioteca Capitolare

Messale, metà dell’XI secolo
Collocazione: ms. CXXIV

Berlino

Staatsbibliothek

Martyrologium Adonis, inizio XI secolo
Collocazione: ms. Ham 4

Poenitentiale, seconda metà del X secolo
Collocazione: ms. Ham 290

Remigii tractatus in psalmos (testo mutilo), fine del X secolo
Collocazione: ms. Ham.565

Homiliarium, XII secolo
Collocazione: ms. Ham.310

Frammento di tre codici liturgici, XIV-XV secolo
Collocazione: ms. Ham.401

Barcellona

Biblioteca Central

Frammento liturgico, XI secolo
Collocazione: ms. M 895

Oxford

Bodleian Library

Tropario, fine dell’XI secolo
Collocazione: ms 21796

Guarda il Video La Biblioteca dei monaci

Se la biblioteca pubblica classica aveva valore di memoria collettiva vivente, luogo di incontro e punto di riferimento coincidente con il concetto di vita pubblica dei romani ed era strettamente connessa con la produzione e il commercio librario (Fedeli 1988), nel corso dei secoli questo sistema venne progressivamente scardinato (Petrucci 1973) venendo a coincidere con una nuova definizione di biblioteca monastica e capitolare. I due principali centri di conservazione e trascrizione della parola e del sapere divennero quindi cattedrali e monasteri. «Gli scriptoria dell’Italia settentrionale hanno indubbiamente avuto un ruolo rilevante nella complessa vicenda della diffusione dei testi […] però oltre questa stessa funzione, favorita dalla stessa posizione geografica, non è stato sempre evidenziato il ruolo propositivo che tali scriptoria ebbero, divenendo centri di rielaborazione e progettazione dei testi e delle immagini ad essi collegati» (Zanichelli 2003). Se la biblioteca monastica si può definire come un luogo di conservazione di libri prettamente d’uso, pur avendo una scuola, la biblioteca capitolare è invece luogo di conservazione di libri d’uso ma anche scolastici. La cattedrale deve cioè disporre di una serie di libri di medicina, grammatica e diritto, che generalmente mancano nella biblioteca monastica, per far fronte alle necessità educative della comunità religiosa e laica a partire dal VI secolo d.C.

A livello testuale a seguito dell’emanazione degli editti carolingi si assistette quindi ad una revisione dei libri liturgici, in quanto fulcro della vita comunitaria benedettina secondo la Regula di San Benedetto da Norcia, che in epoca carolingia venne veicolata dagli scritti di Benedetto d’Aniane (Baroffio 2006). Perno della vita cenobitica era dunque la preghiera liturgica: all’interno della struttura cardine delle ore fisse per le orazioni, ogni comunità scelse i singoli brani e canti da recitare. Conseguenza fu che ogni monastero e quindi i suoi libri liturgici ebbero un peculiare ordinamento presso le rispettive biblioteche. 

Tra i libri funzionali alla liturgia spicca ad esempio il martirologio, che si legge tutte le mattine durante l’ufficio del Capitolo per sapere quale santo può o deve essere ricordato nella liturgia con determinate scelte di testi e canti. Nell’XI e XII secolo sopravvivono però anche tipologie librarie legate al compito svolto all’interno della comunità: l’officiante si serve del Sacramentario per leggere le orazioni e i testi della messa; il lettore ha a disposizione l’Epistolario, che contiene generalmente passi delle epistole e dei Vangeli; il diacono ha l’Evangeliario con cui proclama il Vangelo. Esistono poi libri di lettura condivisa per la liturgia delle ore come il collettario, che contiene le orazioni; le letture si trovano variamente anche nella Bibbia, nel lezionario patristico (detto omeliario) e in quello agiografico (detto leggendario o passionario). Per le ore notturne c’è l’evangelistario notturnale. In questo articolato e vasto panorama, spesso di difficile compressione per il lettore contemporaneo, si aggiunge l’ulteriore variabile della complessità dei volumi con notazione musicale.  La scrittura della musica del passato (Baroffio 2006) non coincideva con uno spartito nel senso moderno del termine: fino a circa la metà dell’XI secolo aveva la capacità di leggere la musica dai codici solo chi la conosceva già tutta bene a memoria. Le antiche notazioni latine rappresentano unicamente e in modo approssimativo l’orientamento della melodia. I neumi evidenziano particolarità dinamiche dei suoni ma non la loro altezza o la distanza (durata) tra una nota e l’altra.

Di fatto i libri con musica fino almeno alla metà dell’XI secolo non hanno una funzione pratica ma simbolica: questa permette di rendere tangibile alla comunità il suo patrimonio musicale, anche attraverso un apparato illustrativo più o meno sontuoso. Il cantore sa a memoria i brani, i libri al massimo servono a ricordare quali brani si devono cantare in una determinata celebrazione. Ma se nei codici musicali di epoca carolingia c’è uniformità nella parte di scrittura testuale, per cui si usa il modulo della carolina, per i neumi ogni centro ecclesiastico-culturale ha forgiato una propria grafia. Questa profonda differenza è dovuta principalmente al fatto che la scrittura si stabilizza e diffonde prima della divisione dell’impero carolingio mentre la diffusione della grafia musicale risale a dopo la metà del IX secolo.

Nessuna comunità ha conservato integro il proprio patrimonio liturgico librario (Baroffio 2006), fanno eccezione centri come San Gallo in Svizzera o Saint Martial a Limoges che ci permettono di avere un’idea dell’ampiezza e varietà dei sussidi liturgici in uso nelle abbazie medievali.  In Italia il patrimonio liturgico librario medievale è frammentario: Aosta, Milano e Bobbio, per il nord ovest, possono essere considerati centri privilegiati. Ivrea, Novara, Vercelli, Breme e Piacenza ci hanno lasciato poche testimonianze liturgiche che risalgono all’XI-XII secolo. A Torino è attestato un unico frammento di codice palinsesto della fine del X secolo.

Della produzione novalicense precedente al trasferimento delle comunità a Torino e poi a Breme, stanti le attuali conoscenze, non resta che un frammento, oggi in Archivio di Stato a Torino, che riporta le Omelie di San Cesario di Arles (Archivio di Stato di Torino, Sezione Corte, Jb. II.1. fascicolo 5). Vergato in elegante minuscola carolina con titoli rubricati e iniziali a pennello rosso di modulo maggiore, il testo ebbe ampia diffusione in ambito monastico grazie al precipuo orientamento pedagogico dell’opera. La mancanza di postille marginali farebbe pensare ad una lettura comunitaria del volume.

Avvicinato variamente al Nord Italia (Bishoff 1980), o più specificatamente alla produzione novalicense (Keefe 2012), è anche un Omeliario di 186 fogli (224 x 168 mm) oggi conservato a Vienna (Österreichische Nationalbibliothek 1616, Salisb. 230, per una descrizione sommaria e bibliografia di riferimento si rimanda a https://www.mirabileweb.it/search-place/italia-piemonte-novalesa-(torino)-ss-pietro-e-andr-place/1044/7204.

Infine prodotto a Corbie nell’VIII secolo, ma in uso probabilmente a Novalesa tra X e XI secolo, per la presenza di alcune notazioni musicali e da qui giunto nel XVIII secolo nella Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino è il Passionario di Corbie (coll. D.V.3). Il codice, oggetto di uno studio integrale dal punto di vista testuale, musicale e illustrativo è stato oggetto di una edizione critica (Le Légendier de Turin 2014) cui si rimanda per ogni approfondimento. Di fatto il codice fu in uso presso il monastero in un periodo indicativamente compreso tra la fine del X e il XVIII secolo.

Le invasioni degli Ungari dell’899 costituirono indubbiamente un profondo sconvolgimento per la pianura padana, dove furono devastati monasteri, città e depredati i tesori; nei decenni successivi altre ondate di invasori raggiunsero la Francia attraverso la Germania e la Borgogna e si spinsero fino a Roma nel 943. Già nel IX secolo le scorrerie dei Saraceni in Provenza e Italia e la penetrazione dei Normanni nel nord della Francia contribuirono a creare un clima di paura nella popolazione e alimentarono leggende e miti sulla vita, le origini e l’aspetto fisico dei feroci predoni venuti da lontano (Fumagalli 1986). La devastazione causata dai nuovi barbari è riportata con grande rilevanza tanto dalle cronache medievali, esemplificativo è sicuramente il Chronicon per il caso di Novalesa. Nell’accurato resoconto in forma di rotulo, oggi conservato in Archivio di Stato a Torino (Sezione Corte, Museo Storico), l’anonimo autore, quasi certamente un monaco, ricostruisce il passato recente della comunità raccontando, non senza iperboli, la fuga della comunità all’inizio del X secolo per sottrarsi alle scorrerie saracene sulle Alpi (Sergi 2006).

Con il X secolo le grandi comunità religiose, minacciate da nuove ondate di invasioni, ridussero fortemente la loro attività di trascrizione, con alcune eccezioni come Bobbio e Montecassino (Cavallo 1991); nella seconda metà del secolo l’affermarsi della nuova dinastia e la struttura itinerante della corte ottoniana favorirono la ripresa della produzione di libri aulici e di lusso, soprattutto come dono alle comunità religiose inserite nel complesso meccanismo dell’impero ottoniano. In Italia settentrionale i manoscritti carolingi, giunti come doni preziosi e conservati come oggetti sacri non costituirono un modello diretto per i centri monastici del X secolo, né servirono ad orientarne la produzione in modo continuativo (Castronovo, Quazza, Segre Montel 1994; Segre Montel, Crivello, Quazza 1998; Crivello 2001). La biblioteca monastica del X secolo è stata definita la “biblioteca dell’oblio” (Cavallo 1991) proprio perché i libri continuavano ad essere conservati ma non venivano utilizzati, letti, studiati, glossati o trascritti ed è proprio in questo aspetto della cultura scritta, più che nel numero di manoscritti realizzati, che è stata individuata la frattura del X secolo, ricomposta solo alla fine dello stesso, quando i grandi modelli carolingi vennero ripresi e rielaborati. È questa una rinascita che da un lato prelude alla grande rinascita dell’XI secolo, tema storiografico complesso (Violante 1993), dall’altro si inserisce nella politica di renovatio degli Ottonidi e nella dibattuta definizione di “arte ottoniana”.

L’ autore del Chronicon Novalicense lamenta la quasi totale perdita della raccolta a seguito dell’invasione saracena del 906. Inoltre ricorda di aver visto e usato al monastero diverse opere del IX secolo che sono effettivamente giunte sino a noi o che sono documentate nel XVIII secolo come esistenti. Sempre l’anonimo compilatore parla del trasferimento a Torino dell’iperbolica cifra di 6.000 opere. Durante la fuga tra Torino e Breme, seguendo il manoscritto, molte opere andarono distrutte o vennero cedute per pegno. Reinsediatisi nuovamente a Novalesa nel corso dell’XI secolo è probabile che riportassero in loco quanto restava dell’antica biblioteca e che l’attività dello scriptorium riprendesse, almeno per un certo periodo.

Di fatto la comunità quando si spostò prima a Torino e poi a Breme portò con sé saperi e tradizioni che contaminarono la produzione locale e della vicina Lombardia, come dimostra lo straordinario caso del manoscritto noto come “Palinsesto di Torino”, oggi alla Bibliotheque Nationale di Parigi (Paris, BNF ms. grec 2631). Scoperto nel 1997, poi edito e studiato da Christelle Cazaux-Kowlaski (2006; 2009) per caratteristiche paleografiche, la decorazione e il repertorio musicale fanno datare il codice entro la metà del X secolo. Si tratta della più antica fonte musico-liturgica notata che si conosca per il nord Italia ed è ascrivibile alla notazione in uso a Novalesa. Secondo la studiosa i modelli testuali più vicini al graduale responsoriale-antifonario palinsesto oggi a Parigi si sono conservati in codici molto probabilmente prodotti nell’area di Pavia, cui il palinsesto fece da modello.

A questa fase sono ascrivibili altri 2 frammenti di codici prodotti dalla comunità novalicense conservati presso l’Archivio di Stato di Torino: un brano della vita di San Martino di Tours, proveniente da un Passionario della seconda metà del X secolo (Sezione Corte, Jb. II.1. fascicolo 15) e un passo della Visitazione da un Omeliario di Beda, vergato probabilmente sul finire del X-XI secolo (Sezione Corte, Jb. II.1. fascicolo 18).

A testimonianza di una larga e trasversale diffusione di un sistema scrittorio proprio della comunità novalicense a Breme sono stati recentemente individuati tre frammenti avvicinabili a tale produzione. Due sono relativi a pagine di un messale visti da Baroffio (2009) presso le capitolari di Alba e Bra, attualmente non reperibili, e uno è invece il primo foglio conservato con frammenti di Responsoriale, attualmente conservato a Parigi (Bibliothèque Nationale de France, ms. 2444). Avvicinabile a sistemi di sequenze nord italiane sono i tropi del manoscritto di Apt, Biblioteca del Capitolo, ms. 18 (Baroffio 2003).

Nel XII secolo, la Riforma messa in atto da papa Gregorio VII, senza dimenticare il ruolo determinante giocato da Pier Damiani e dai laici, mise a punto un complesso sistema di immagini che implicò un nuovo rapporto con la parola scritta e nuove forme di produzione libraria. Il problema dell’immagine è dunque da leggere non solo in chiave stilistica, ma come sistema narrativo legato ad una precisa propaganda politica. Sono anche gli anni in cui il monastero di Cluny detta codici di regolamentazione della vita monastica, con la conseguente creazione di nuovi spazi architettonici e iconografici.

La vicenda della produzione manoscritta novalicense ben si inserisce in questo periodo non solo per il ritorno della comunità a Novalesa sul finire del secolo, ma anche per la messa a punto di estesi cicli pittorici così come per la sopravvivenza di numerosi codici manoscritti, tutti databili a partire dall’XI secolo, che videro probabilmente impegnate maestranze lombarde e locali o d’Oltralpe nel consolidamento di un sistema liturgico-musicale e iconografico. La funzione didattica dell’immagine, intesa come historia, dunque, promossa da Gregorio Magno, riconosciuta dai Libri Carolini, e rimasta valida per tutto il Medioevo (Calzona 1998; Quintavalle 2004), è riproposta in maniera forte tra lo scadere dell’XI e i primi decenni del XII secolo dai portali delle chiese, nei pulpiti, nei mosaici, negli affreschi e nei libri, in tutte le opere destinate ad un grande pubblico, visibili dal popolo dei fedeli e spendibili anche come simbolo di potere. Per ciò che concerne il mondo librario a livello macroscopico si assiste alla diffusione di botteghe laiche itineranti e dall’altro all’ideazione di un nuovo sistema di glosse. In questa situazione gli scriptoria monastici rapidamente decadono e solo quelli che hanno una tradizione di produzione di libri di lusso, che possa soddisfare anche richieste esterne, come San Benedetto al Polirone, riescono ad essere attivi anche nella seconda metà del XII secolo (Zanichelli 2003; Branchi 2004).

Della produzione novalicense dell’XI secolo resta un cospicuo numero di testimonianze: 3 codici (il già citato Chronicon, manoscritto in forma di rotulo che ripercorre le vicende dell’Abbazia dalla fondazione alla fine del XI secolo; la raccolta di Cassiano dedicata alle regole di una buona condotta della vita monastica, oggi in Biblioteca Nazionale Universitaria a Torino, ms. I.II.13; la Regula di San Benedetto-Evangelistario nelle cui note aggiunte sono evidenti gli scambi culturali tra il monastero di S. Andrea di Torino e Breme, oggi conservato presso il monastero di Novalesa, ms. I. MAN.D. I) e 3 frammenti (una parte del capitolo 38 e 39 della Regola di San Benedetto oggi in Archivio di Stato a Torino con segnatura J.b.II.1 fascicolo 3; un frammento da un libro di computo, sempre in Archivio di Stato di Torino con segnatura J.b.II.1 fascicolo 9; un frammento dei Moralia in Job di Gregorio Magno in Archivio di Stato, Sezione Riunite, Archivio Generale dell’Economato, busta III) che la critica concorda nell’attribuire a Novalesa.

Un codice in uso presso il cenobio, ovvero il manoscritto Hamilton 4 conservato a Berlino (Berlin, Staatsbibl. Preuss. Kulturbesitz, Hamilton 4), variamente citato ed analizzato (Segre 1975 p. 231; Bose 1966; Fingernagel 1999), presenta un’aggiunta con notazione tipica della scuola di Novalesa e citati i Santi Eldrado e Nicola. È Inoltre modello per la compilazione in forma ridotta del codice realizzato a Novalesa e oggi in Biblioteca Reale (Torino, Biblioteca Reale, ms. Varia 143). Sembra quindi che il codice fosse in uso presso il monastero in Val Cenischia almeno fino alla fine del XII secolo.

7 codici e un frammento avvicinabili per caratteristiche liturgiche o musicali alla produzione novalicense: un Tropario oggi a Roma (Biblioteca Casanatensse 3830), un Sacramentario variamente attribuito a Novalesa, Ivrea o al Nord Italia (Berlin, Staatsbibl. Preuss. Kulturbesitz, Hamilton 571); un manoscritto composito tramandante testi di Paolo Diacono (Chicago, IL, The Newberry Library Case, MS 3); un rituale alla Bibliotheque Mazarine di Parigi (ms. 525), il celebre Messale CXXIV della Biblioteca Capitolare di Vercelli, il Processionale della Biblioteca Capitolare di Asti, il Tropario con iniziali ad intreccio oggi ad Oxford, Bodleian Library, ms. Douce 222. Il frammento invece è conservato ad Augsburg (Saats- und Stadtbibliothek,2°, ms. 157): due fogli sono stati riutilizzati ai contropiatti anteriore e posteriore del codice, cosicché solo un lato di ciascuno rimane visibile.

Per il XII secolo, quando sembra rifiorire anche a Novalesa l’uso dell’immagine per legare parola scritta e una sua rappresentazione su pergamena (Segre 1978), la critica annovera tra i codici superstiti di Novalesa 3 manoscritti prodotti sicuramente presso il cenobio: un Graduale Processionale oggi in Biblioteca Reale a Torino (ms. Var.1), il Messale oggi in Biblioteca Diocesana a Susa e il Var. 143 della Biblioteca Reale di Torino riportante un Martyrologium Adonis, copiato dal ms. Hamilton 4 conservato a Berlino e in uso in quegli anni a Novalesa. 2 manoscritti sono avvicinati alla produzione novalicense: un Martirologio oggi in Biblioteca Apostolica Vaticana, il Patetta 1422; e un Omeliario giunto a Berlino (Staatsbibl. Preuss. Kulturbesitz, Hamilton 310) grazie al De Levis che lo descrisse al n. XVIII dei suoi Anedocta Sacra (1789). Infine la monumentale Bibbia oggi in Archivio di Stato di Torino (ms. Jb.I.15), mirabilmente miniata, è stata avvicinata da Segre Montel (1978; 2006) a modi d’Oltralpe per la presenza di alcune note manoscritte, è sicuramente un testo interessante anche per la presenza di carte di riutilizzo con un elenco dei volumi in uso presso il monastero nell’XI secolo, una sorta di primo inventario frammentario.

Con il XIII secolo inizia di fatto la decadenza dello scriptorium e della produzione libraria: sono ascrivibili a questo periodo solo 2 frammenti prodotti a Novalesa. Si tratta di un Graduale (oggi Torino, Archivio di Stato, Sezione Corte, ms.Jb.II 1 fascicolo 4 e 11) e di un Messale (oggi Torino, Archivio di Stato, Sezione Riunite, Archivio Generale dell’Economato di Novalesa, busta II).

È del 1366 il documento (ASTo, Arch. Della Novalesa, Busta V, cfr Cipolla, Ricerche 1894 pp. 11 e 58) in cui si imputa a frate Antonio de Sartoribus, priore di Corbières, all’epoca dipendenza della Novalesa, l’incuria dei libri della Biblioteca di Novalesa e di averne impegnati alcuni, tra cui un breviario. Del XIV secolo restano infatti solo un frammento di Messale (Torino, Archivio di Stato, Sezione Corte, ms. Jb.II.1 fascicolo 17) e dei frammenti oggi a Berlino (Staatsbibl. Preuss. Kulturbesitz, Hamilton 401) di proprietà di De Levis (1789, n. XIV) la cui attribuzione a Novalesa si fondava sull’interpretazione di una nota di possesso, oggi in parte intesa diversamente. Per il XV e XVI secolo si possono annoverare un manoscritto in volgare in cui è riportata una vita di S. Eldrado (Segre 1977, n. 7; Vitale Brovarone 1977; Segre Montel 1980) e un frammento di riutilizzo in un documento notarile del 1587 oggi presso l’Archivio Diocesano di Susa (Fondo Archivio Capitolare di S. Giusto di Susa, faldone 21, mazzo 25, numero 5) contenente una lectio prima e un frammento di lectio secunda di S. Eldrado in una carta di guardia.

Nel 1686 Mabillon, durante la stesura del suo Iter Italicum passò da Novalesa ma dichiarò che nulla era conservato degli antichi fasti; tuttavia pochi anni dopo, Padre Turinetti, reggente del Collegio Gesuita di Torino, trascrisse da un manoscritto della Novalesa la Vita di S. Eldrado e ricevette dal monastero diversi codici che finirono poi nella biblioteca del Collegio torinese, che tuttavia, con la soppressione e dispersione di questa, andarono perduti.

Nel 1778 De Levis restò a studiare a Novalesa una settimana e vi trovò una decina di codici che elencò e descrisse, mentre una dozzina, poi alla sua morte andati dispersi, provenivano da Novalesa ma erano di sua proprietà in quanto dono dell’abate Sona.

La dispersione della biblioteca novalicense fu dunque lenta e inesorabile e conobbe un momento di cesura definitiva con il periodo delle soppressioni napoleoniche. Il tentativo di ricostruire il patrimonio disperso è un lavoro certosino e continuo iniziato sicuramente tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo da Carlo Cipolla, grazie al quale vennero ritrovati alcuni codici novalicensi su pergamene di riutilizzo e fu individuato per la prima volta la traccia di un inventario in un frammento staccato dalla legatura del XV secolo della Bibbia oggi in Archivio di Stato di Torino.  Costanza Segre Montel, che dedicò tutta la sua vita, a partire dagli anni Settanta del Novecento fino al 2006, al tentativo di ricostruire grazie all’ausilio di fonti documentarie e tracce stilistiche, un elenco dei codici superstiti del cenobio, mise a frutto i lavori di De Levis e di Cipolla. La studiosa in occasione di una mostra dedicata all’arte e alla storia in Valle di Susa che si tenne alla GAM nel 1977 dichiarava: «Sono giunta allo stupefacente risultato di poter dare notizia di un centinaio almeno dei 6000 (o forse, più ragionevolmente, 600) codici dell’antico fondo e di poter individuare, inoltre, come ancora esistenti 27 tra manoscritti interi e frammenti» (Segre Montel 1978). Da allora vari censimenti di testi liturgici, tra cui quelli fondamentali condotti da Baroffio, e studi puntuali hanno portato a modificare l’elenco originario di Segre Montel, che resta però un valido e insostituibile punto di partenza.

Quello che qui si riporta è una traccia, assemblata con fatica e probabilmente non priva di inesattezze, da cui partire per approfondire il problema della biblioteca dispersa di Novalesa. I codici ordinati cronologicamente riportano indicazione delle attuali attribuzioni della critica semplificate e schematizzate in codici prodotti, in uso, secondo la liturgia/notazione di Novalesa. In ultimo si dà notizia dell’arrivo nei primi anni Duemila al monastero di Novalesa di un Graduale scritto a Besançon da tale abate Ugo nel 1289 (Novalesa, Abbazia, MAN2 A1)

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