L’interesse devozionale verso sant’Eldrado dovette stimolare sin da subito la produzione di diverse opere a lui dedicate, di cui a distanza di tempo rimangono pochi esempi significativi circoscritti all’ambito valsusino. Tra gli oggetti scolpiti in età medievale spicca il grande reliquario “a cassa” con le spoglie del santo benedettino, attualmente custodito presso la parrocchiale novalicense di S. Stefano. Lo scrigno, di forma rettangolare, mostra un doppio spiovente di copertura e un rivestimento in lamine di argento sbalzato, applicato su un’anima di sostengo in legno. Sul lato della serratura si riconoscono due triadi angeliche (con Michele, Gabriele e Raffaele a sinistra) e sei Apostoli, di contro sul lato opposto, si scorgono due coppie di angeli affiancate alla Vergine e all’Eterno, inscritto in una mandorla polilobata, mentre sui fianchi minori campeggiano San Pietro e Sant’Eldrado al di sotto di archetti trilobati. Riconosciuta dalla critica come l’opera di un argentiere della seconda metà del XII secolo e stilisticamente affine alle coeve casse-reliquario dell’area mosano-renana e a quelle limosine e del Vallese: una su tutte quella dei figli di San Sigismondo del Tesoro dell’abbazia di Saint Maurice d’Agaune (Romano 1977, pp. 142-144; Piglione 1994, pp. 439-443; Bertolotto 2000, pp. 97-104), la teca costituisce altresì la prova di una confermata e rinnovata devozione per il santo, a pochi decenni di distanza dalle Storie affrescate tra il 1096-1097 nel sacello novalicense a lui dedicato. A cavallo tra i due secoli, in concomitanza con la rinascita e la graduale ristrutturazione in forma di priorato dell’antico insediamento monastico della Val Cenischia, l’esperienza umana e spirituale di Eldrado fu assunta quale modello di virtù ed esempio della più gloriosa tradizione locale. Secondo una narrazione agiografica già consolidata, gli affreschi diedero corpo all’uomo intento a lavorare la terra presso il paese natale di Ambillis; al pellegrino che, dopo aver ricevuto dalle mani di un sacerdote il bastone e la bisaccia necessari al suo viaggio, raggiunge stanco e provato nel fisico il monastero di Novalesa; al novizio che veste l’abito monastico sotto l’abbaziato di Amblulfo; al religioso capace di azioni miracolose (come liberare il monastero di Monêtier-les-Bains dalle serpi che lo infestavano); e, infine, al vecchio abate sul letto di morte, al quale due confratelli prestano gli ultimi conforti spirituali, mentre sul suo volto discende dall’alto un raggio di luce, simbolo della presenza di Dio nel suo vero dies natalis (Segre Montel 1988, pp. 63, 67-69; Di Macco 1990; Segre Montel 1994, pp. 273-274; Segre Montel 2003; Uggè 2012, pp. 28-30). In modo diverso, ma non meno eloquente, il rilievo a sbalzo dell’urna-reliquario ridusse il riferimento a Eldrado a un’unica figura stante, accostata a quelle degli Apostoli, che come lui e prima di lui furono testimoni di Fede. Il confronto in particolare è con San Pietro, contitolare con Andrea del cenobio novalicense e guida della prima Chiesa cristiana come – mutatis mutandis – Eldrado fu pastore della sua comunità. Nel santo novalicense l’abito sacerdotale, il pastorale tenuto nella destra, il libro serrato col braccio sinistro (allusione alla Regola benedettina) si unirono a un’espressione calma e ammonitrice, quale aulico esempio di virtù. In modo non dissimile, gli stessi tratti iconografici avevano già trovato forma nella lunetta affrescata presso il portico dell’ala nord del chiostro di Novalesa, dove tra il 1130 e il 1140 la mano di un frescante d’ambito lombardo ritrasse Eldrado quale figura mediana fra un Cristo in maestà racchiuso in una mandorla e una certa Clara, benefattrice del cenobio novalicense all’indomani del terribile terremoto che colpì la struttura nel settembre del 1117 (Segre Montel 1994, p. 274).
Nel tempo, l’urna reliquario di Sant’Eldrado passò a costituire il fulcro di una collezione di reliquie (e reliquari) custodita, insieme alla memoria documentale della fondazione monastica, all’interno della cappella dei Ss. Cosma e Damiano (poi re-intitolata a Sant’Eldrado), sita vicino alla chiesa abbaziale, ma da questa separata presso il lato settentrionale del chiostro. Come evidenziato da Guido Gentile (Gentile 2004, pp. 86-87), alcune fonti d’età moderna e l’opera dedicata dal Rochex alla storia del cenobio (1670) attestano la presenza dell’urna al di sopra dell’altare del sacello, indicando altresì diversi oggetti ormai perduti, fra i quali un busto reliquario d’argento dorato, senza mitria, contenente il capo di Eldrado e un braccio ligneo coperto d’argento contenente un braccio del santo. Il busto era accompagnato da un’iscrizione dedicatoria voluta dal donatore Rufino Bartolomei (priore a Novalesa dal 1350 al 1380 ca.), di cui compariva anche lo stemma araldico (a scacchi oro e rossi). Presumibilmente, entrambi i reliquiari scomparvero in coincidenza dell’ultima soppressione del monastero (1856), venendo in precedenza trasferiti con molte altre suppellettili del sacello in altri ambienti del complesso tra il 1709 e il 1718, quando la cappella dei Ss. Cosma e Damiano, ormai guastata dall’umidità, dovette essere demolita su indicazione di Antonio Bertola, architetto incaricato della ristrutturazione del cenobio. Tale intervento determinò anche la scomparsa di un esteso ciclo pittorico con Storie della vita di sant’Eldrado, presumibilmente eseguito durante la commenda di Andrea Provana quale corollario figurativo per il grande polittico della Natività e Resurrezione di Cristo fra santi e donatore (oggi nella parrocchiale di Novalesa) dipinto per l’altare maggiore del sacello intorno al 1502 dalla bottega di Antoine de Lonhy. L’opera, composta da sei tavole unite da una cornice tardo-gotica, reca nel registro inferiore l’immagine di sant’Eldrado che in veste di abate presenta verso la scena centrale della Natività un personaggio canuto, riconoscibile in Andrea Provana (Ruffino 2000, pp. 79; Gentile 2004, pp. 87-88).
Alla seconda metà del Quattrocento, invece, può essere riferita la statua lignea di sant’Eldrado attualmente custodita presso la chiesa abbaziale, già documentata sull’altare della cappella dell’XI secolo da un disegno allegato alla Relazione scritta da Carlo Felice Biscarra nel 1898 e riconosciuta da Guido Gentile come una delle sculture citate in un inventario del 18 giugno 1644 all’interno del sacello dei Ss. Cosma e Damiano (Gentile 1977, pp. 43-44; Biscarra 1988, p. 472). Allo stato attuale delle ricerche, nel manufatto è possibile scorgere la mano di un anonimo maestro presumibilmente savoiardo intento nel restituire un ritratto realistico del benedettino quale abate e “pastore di anime”, connotato dai consueti attributi del pastorale (simbolo del potere giuridico e dottrinale esercitato su confratelli e fedeli) e del libro della Regola dell’Ordine, definito con attenzione nel particolare delle bindelle che ne fissano la chiusura.
Da presso, a un altro scultore attivo per l’alta Valle è riferibile la statua lignea custodita nella cappella di Sant’Eldrado a Millaures (Bardonecchia), in località Gleise, dove, a differenza dei casi precedenti, s’incontra una raffigurazione del santo in abiti solenni, con mitra, pastorale e un ampio piviale chiuso sul petto da un grosso fermaglio (Moratti 2013). Nonostante la pesante ridipintura – segno di una costante cura devozionale – l’opera può essere ricondotta al XVI secolo, sulla scorta di un doppio confronto. Da un lato, la rigida frontalità della figura che dà risalto a una corporatura robusta e a un volto tondeggiante richiama alla mente il San Bernardo di Constans (Savoulx), esempio di una scultura devozionale di dimensioni medio-piccole, databile all’incirca al 1500 (Gentile 2008, p. 81); dall’altro lato, la rigida compostezza della figura, incapsulata nel manto e nella mitra e la sua dilatazione frontale trovano una certa analogia con il San Sisto della parrocchiale di Savoulx (oggi custodito presso il Museo Diocesano d’Arte Sacra di Susa), che un’iscrizione posticcia fissa al 1572, allontanandolo da una presumibile data iniziale più vicina alla prima metà del XVI secolo (Gasca Queirazza, Gentile, Romano 1977, p. 114).
Infine, è bene ricordare che in Valle di Susa la devozione per sant’Eldrado trovò forma anche in una serie di opere d’età moderna, come la piccola statua lignea proveniente dalla cappella di San Lorenzo di Giaglione (oggi custodita nel locale museo d’arte sacra), esempio di secondo Seicento, riferibile alla bottega di Jean Baptiste Clappier, connotato dalle incerte proporzioni anatomiche e da movenze stereotipate che nulla aggiungono alla tradizione iconografica del santo (Gasca Queirazza, Gentile, Romano 1977, p. 123). Al contrario, dovevano essere ben più interessanti i diversi manufatti dedicati a Eldrado nella chiesa di San Giusto di Susa, dove il primo altare a cornu evangelii, superato il transetto, fu intitolato al monaco novalicense sino alla metà del XVIII secolo. Nei decreti posti in essere dall’abate commendatario Guido Ferrero nel 1578 – in seguito a una sua visita pastorale dell’anno precedente – si legge che la mensa, sottoposta al patronato del segusino Battista Ruffo, era ornata da una statua e da un’immagine dipinta dell’abate; il Ferrero ordinò la rimozione di entrambe, vedendo nella prima un’opera ormai danneggiata dal tempo e nella seconda una raffigurazione lontana dal senso del decoro fissato dai dettami tridentini. Con tutta probabilità, la scultura segusina doveva proporre un modello iconografico cronologicamente non lontano dagli esempi d’età medievale e pertanto inconciliabile con le istanze della Controriforma in tema di immagini sacre e rinnovo degli spazi liturgici (Ludovici 2011, pp. 16-17). In seguito, le fonti di Sei e Settecento descrivono attorno all’altare una serie di affreschi posti a corollario di un’ancona centrale con la Vergine tra i santi Eldrado, Giovanni Battista e Carlo; tra le scene campite su muro spiccava la «figura in medie lune, in qua apparet imago S. Oldradi dormientis super saxo». Entro il 1751 – come documentato dalla visita Caissotti – al ciclo pittorico si sostituì la sola presenza di una pala d’altare con la Trinità e le anime del Purgatorio (oggi dispersa) e di un più piccolo ritratto su tela di Sant’Eldrado, realizzato tra il 1728-1744 per la vicina parrocchiale di San Paolo (soppressa nel 1749) e ultima testimonianza a Susa di una tradizione figurativa ben più antica (Ludovici 2011, pp. 22 e 27), che sul piano devozione rivive a tutt’oggi a Novalesa nella tradizionale processione del 13 marzo, quando le spoglie mortali di sant’Eldrado (conservate nell’urna del XII secolo) vengono portate dalla parrocchiale alla cappella presso il cenobio per la messa solenne.
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