Atto di fondazione dell’abbazia di Novalesa: 726
Foglio membranaceo, manoscritto, latino
64 x 51 cm
Minuscola merovingia dell’VIII secolo
Torino, Archivio di Stato, Corte, Abbazie, Novalesa, mazzo 1, n. 1
Bibliografia: Alessio 1982; Bertini 1990 a, pp. 181-182; Tabacco 1966; Sergi 1994 b; Massabò Ricci, Gattullo 1995, p. 162; Cancian 2006, p. 46.
L’atto originale di fondazione dell’abbazia dei Ss. Pietro e Andrea di Novalesa è datato al 30 gennaio del 726. La minuscola merovingica canonizzata con la quale il documento è redatto riporta il nome del fondatore Abbone, “rector” nelle regioni di Maurienne e Susa, ossia titolare della carica di “governatore” presso le valli dell’Arc e della Dora Riparia. Come esponente di una ricca famiglia aristocratica del regno franco e titolare di un ufficio pubblico, seppe legare le proprie personali fortune alla dinastia in ascesa dei pipinidi-carolingi, maestri di palazzo presso la corte merovingia. In particolare, la sua vicinanza al franco Carlo Martello si palesò attraverso l’azione mediatrice che esercitò in occasione delle ribellioni che precedettero l’annessione dei territori del basso Rodano al regno merovingico controllato dai carolingi. Nel contesto dell’azione di governo di Abbone, la fondazione del piccolo monastero di Novalesa, posto al di qua delle Alpi ai piedi del colle del Moncenisio, ebbe lo scopo di promuovere l’azione di una comunità di monaci dediti all’ascesi e alla continua preghiera a favore del regno e del popolo dei Franchi, per il bene della Chiesa e del Re e, contemporaneamente, capaci di riformare la vita monastica delle due valli soggette all’autorità del governatore. La “selva” di firme che chiude il documento di fondazione testimonia che sottoscrittori dell’atto – oltre ad Abbone – furono quattro vescovi, due abati, un arcidiacono e altri chierici. Da ciò si evince che Novalesa sin da subito attirò su di sé l’interesse dell’alto clero di Moriana e di Susa, come delle autorità civili, proponendosi quale centro di rilevanza religiosa presso i territori ad essa limitrofi e non solo. Infatti dal 739 Abbone dotò l’abbazia, tramite una donazione testamentaria di quasi tutti i suoi beni, di una fitta rete di possedimenti terrieri e chiese che andavano dalla valle Cenischia alla valle di Susa, dal Moncenisio alla Moriana, a Grenoble, Vienne, Lione, da Briançon a Embrun, Gap e Sisteron, sino a Marsiglia, Arles e Tolone. I beni transalpini erano i più numerosi, ma posti gli uni a grande distanza dagli altri e a eccezione della regione di Gap – ove si trovavano le due curtes di Tallard e Upaix – non erano sottoposti all’organizzazione di centri di coordinamento. Mentre la quota cisalpina del patrimonio era territorialmente più esigua e concentrata attorno al cenobio e quindi più facile da amministrare e da usare come base signorile. I possedimenti novalicensi furono organizzati secondo una ripartizione in pagi e centri curtensi e vennero sfruttati nei modi più diversi: vi erano pascoli, alpeggi, vigneti, oliveti e, nell’area provenzale, saline. Tra l’VIII e il IX secolo, i monaci seppero ampliare la propria presenza fondiaria in Valle di Susa con ulteriori beni in Val Cenischia, a Oulx e nella conca di Bardonecchia, acquisendo nuovi castelli, introiti fiscali e diritti di giustizia che andarono a confermare la loro posizione all’interno delle strutture di potere del regno carolingio. La nuova fondazione, pensata autonoma da ogni ingerenza esterna e sentita come opera dei ceti eminenti di Moriana e di Susa, agli occhi delle élites di governo carolingie assunse il ruolo di monastero di confine posto ai margini dell’espansione del regno, quale avamposto etnico verso la longobarda pianura padana. Con Carlomanno, Carlo Magno e Lotario, pronti ad offrire la propria protezione all’abbazia, questa fu assimilata ad una vera e propria fondazione regia del cui patrimonio i re franchi disposero come se fosse cosa loro.
Chronicon Novaliciense
Novalesa – 1060 circa
Rotolo membranaceo, manoscritto, latino
8,5/11 x 1170 cm
Minuscola dell’XI secolo, scritture distintive in capitale libraria
Torino, Archivio di Stato, Corte, Museo Storico dell’Archivio
Bibliografia: Cipolla 1901; Alessio 1982; Fissore 1988, pp. 92-95; Bertini 1990, pp. 184-185; Massabò Ricci, Gattullo 1995, p. 165; Sergi 2006, p. 58; Sergi 2008, p. 43.
Il Chronicon Novaliciense è composto da 30 pecie di pergamena di diverse misure (larghezza variabile fra gli 85 e i 110 mm), tenute insieme da una fettuccia membranacea sostituita, in alcuni casi, da una cucitura, per un’estensione complessiva di 11,7 metri. Ciò che resta del rotolo è percorso da una scrittura minuscola dell’XI secolo, coeva alle vicende narrate (che si fermano alla metà dell’XI secolo), la quale corre su rigatura in alcuni fogli e in forma libera su altri.
L’autore, rimasto anonimo, era probabilmente un monaco novalicense che aveva accesso alla memoria recente della comunità negli anni in cui questa si riappropriava dell’originario cenobio della Val Cenischia dopo le scorrerie saracene all’inizio del X secolo e la conseguente fuga dei religiosi, prima a Torino e poi a Breme, in Lomellina.
Al momento del loro ritorno, come priorato dipendente dalla casa-madre di Breme, i religiosi dovettero confrontarsi con l’enorme potere della dinastia degli Arduinici, che governavano la grande marca di Torino, estesa fino alla Valle di Susa. L’impegno dei marchesi di Torino nell’acquisire basi fondiarie su cui costruire un proprio potere signorile ereditario, insieme alla creazione del “monastero di famiglia” di San Giusto a Susa, sorprendeva e irritava la comunità novalicense che aspirava a esercitare come in passato un vasto controllo su tutta la valle. Tali ambizioni furono ulteriormente ostacolate dalla vicinanza di nuovi e potenti enti religiosi come San Michele della Chiusa e la prevostura d’Oulx. Per ovviare a simili circostanze e recuperare l’antico prestigio, Novalesa intraprese, attraverso la scrittura del suo anonimo cronista, un’azione di organizzazione documentaria di forte significato ideologico finalizzata a rinverdire nella memoria dei contemporanei la legittimità delle proprie prerogative. Il documento è suddiviso in due nuclei fondamentali: nel primo sono narrate le vicende dell’abbazia prima della distruzione; mentre il secondo riporta la storia del ritorno dei monaci in valle. Tra le due parti si pone il fatale attacco saraceno. La seconda parte è scandita da un tono capace di porre in rilievo il contrasto tra il mondo interno al cenobio, pervaso dalle qualità positive della mitezza, della santità e dell’ordine, e il mondo esterno identificato nella violenza, nel disordine e nella crudeltà delle competizioni territoriali. Il testo non è privo di passaggi in cui è stato dato spazio ad ardite ed elaborate riletture della storia tese a confermare il prestigioso passato del cenobio. Basti pensare ai passi in cui viene narrato che l’arco romano di Susa fu costruito da Abbone, fondatore di Novalesa, a perenne memoria della sua volontà e dei diritti del monastero.
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