Cahier de voyage (trascrizione delle fonti)
Insieme alle fonti archivistiche propriamente dette, una fonte preziosa per la conoscenza della storia dell’abbazia di Novalesa è rappresentata da una nutrita serie di testi, in grado di dar voce a testimoni oculari del tempo, quali sovrani, politici, ambasciatori, militari, storici, eruditi, scienziati, scrittori, religiosi, grand tourist, compilatori di guide turistiche e notabili del luogo. La varietà degli interessi coltivati dai diversi autori nei propri scritti concorre a comporre un quadro eterogeneo e sfaccettato delle realtà descritte.
Di volta in volta, il grado di attendibilità delle informazioni e delle considerazioni espresse nei testi va valutato alla luce di molteplici variabili: dalla formazione culturale dell’autore ai suoi interessi, dall’attenzione con cui elabora le proprie osservazioni alla sua capacità di approfondimento, senza dimenticare i pregiudizi ideologico-culturali che possono influenzarne pensieri e considerazioni. Il grand tourist, ad esempio, che solitamente viaggia da solo o in coppia, stringe relazioni con studiosi ed eruditi locali per documentarsi sui luoghi da lui visitati, raccogliendo testi in loco o parlando con la gente del posto; di contro, l’autore del libro-guida si riferisce a esperienze personali, il memorialista invece da un carattere generale alle sue impressioni: ma entrambi attingono ampiamente da altri, integrando e inventando. Diversamente, le opere di carattere storiografico e le relazioni di tecnici e burocrati rielaborano in modo oggettivo dati analitici raccolti sul campo, prestando grande attenzione alle questioni d’imminente contingenza, come quelle di carattere economico-commerciale, igienico-sanitario e amministrativo.
I testi si susseguono in base all’anno di edizione e di essi sono stati riportati i passaggi più significativi ai fini della presente ricerca, omettendo quelli meno rilevanti e ripetitivi.
Marc’Antonio Carretto, Vita, e Miracoli di S. Eldrado. Abbate dell’Insigne Monasterio di S. Pietro della Novalesa. Principii, & accrescimenti d’esso Monasterio, con la serie de’ suoi abbati, le di cui Vite descrivonsi brevemente. Privilegi, & antica Cronica del medemo, illustrata con notationi historiche. Torino, Gio. Battista Zappata, 1693
ASTo, Corte, Materie ecclesiastiche, Novalesa, Abbazia dei Ss. Pietro e Andrea, maz. 14, fasc. 6
pp. 8-10.
È dunque posta [l’abbazia di Novalesa], non più lungi d’un miglio dal piè del Moncinisio, ove incomincia a salirsi per quell’altissima, e disastrosa alpe da chi vuol passare oltremonti. La valle, che quivi fa capo, è molto angusta, e fiancheggiata tutta da monti altissimi, per lo più biancheggiati di neve. Fra queste angustie scorre il fiume Cinisia, che trahendo la sua origine dalla sommità del Moncinisio, da cui preccipitandosi con caduto altissime, corre poscia con rauco suono a gettarsi nel fiume Dora vicino a Susa, discosta non più di tre miglia verso il mezzo dì, dalla Novalesa. A man sinistra del fiume nel salire la valle, vedesi sopra d’uno scoglio assai rilevato l’Abbatia, di cui la prima parte à scoprirsi, è la chiesiuola del nostro Santo, che dalla margine dell’alta rupe, sopra cui giace, rimira il Levante e questa è il luogo ove fu dato alla sepoltura il suo Sacro Corpo, e riposovvi per molto tempo. Andando più innanzi verso il Borgo della Novalesa, contro il corso dell’acqua, scopronsi in buona parte la Chiesa, e le restanti fabbriche del Monasterio, di struttura semplice, e non molto alte, à causa de’ venti di Ponente, che grandissimi, e lunghi spesse fiate vi regnano, con non picciola noia degl’habitanti. Il sito sembra per altro fatto propriamente per habitatione di Monaci, non potendosene appena truovare un altro, che possa in solitudine pareggiarlo. Rimiransi ivi tutto all’intorno cadute altissime d’acque, parte nate da’ fonti, e parte dalle nevi strutte, che con il loro strepitoso suono assordano l’aria, ma formano all’occhio una dilettevole, e vaga vista. Niuno che havesse letto nell’historie la grandezza, in cui nei passati secoli trovossi quest’Abbatia, direbbe, rimirandola di presente, che ella fosse d’essa, tanto ha ella provate le vicende del tempo. Non ha contuttociò il lungo girare degl’anni potuto cancellare la memoria di tanti, e si illustri personaggi, che, o col proprio sangue sparso per la Fede, o con i sudori della vita penitente bagnarono il terreno di questa fortunata solitudine.
p. 113.
Trovalla egli [l’abate Filiberto Maurizio Provana], per il picciolo numero, à cui erano ridotti i Monaci d’essa, ad un molto cattivo stato, sì in ciò, che riguarda l’osservanza Regolare, & il servizio Divino, come anco in quello, che concerne il temporale. Erano le fabriche poco men che tutte (toltane la chiesa) per terra, in guisa che appena vedevasi in esse vestigio di Monasterio. Mosso perciò egli dalla sua pietà, e dal suo molto zelo verso il servitio di Dio, v’introdusse il primo giorno del mese di febraro dell’anno 1646 i monaci della nostra Congregatione (…).
Goffredo Casalis, Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, vol. XII, 1843, Torino, presso Gaetano Maspero Libraio e G. Marzorati tipografo
pp. 62-85.
Novalesa, (…) Giace in una valle amena anziché no, a maestrale da Susa, da cui è lontano tre miglia: il torrente Cenisio o Cinischia, che ha origine dal lago del Moncenisio, scorre paralello ad esso dal lato di mezzodì: la strada che da Susa mette a Novalesa è agiatissima per carrozze e carri, e si estende pel tratto di un mezzo miglio al di là di esso, cioè fin dove comincia la salita del Moncenisio, la quale essendo molto erta cessa di essere praticabile coi carri. Prima dell’apertura della nuova strada dell’Alpe Cenisia, decretata sotto il consolato, e terminata nei primi anni dell’impero di Napoleone, Novalesa era un luogo di molta considerazione; perocchè i viaggiatori vi si dovevano soffermare (…). Ora che la R. strada passa molto al dissopra sul fianco settentrionale, questo luogo perdè molto di sua importanza, come suole accadere a tutti i paesi che si lasciano fuori delle strade maestre, quando queste vengono costrutte. (…) Le produzioni del suo territorio sono pari a quelle di tutti i comuni situati nelle gole alpine. Siccome molti torrenti scendono perenni dalla giogaja che dal vertice del Rocciamelone si estende fino al Moncenisio, così l’agro di Novalesa è ovunque abbondantemente inaffiato, e perciò produttivo di fieno d’ottima qualità: fornisce pure preziose ricolte di castagne e patate; ma lo stesso non si può dire dei cereali, che non bastano alla consumazione degli abitanti: le piante cedue, e specialmente i faggi, che vi allignano in grande numero, somministrano moltissima legna che trasportasi a Torino, e forma la principale ricchezza del paese. Nel Cenischia si pescano trote saporitissime: vi si trovano pure alcuni ghiozzi. Una sola contrada carrozzabile percorre Novalesa in tutta la sua lunghezza: la parte rivolta a scirocco è bagnata dal torrente Claretto, che versa le sue acque nel Cenischia: esso vi si tragitta per mezzo di un ponte di cotto. Una chiesa dedicata a S. Stefano fuvvi edificata nel 1500 dall’abate commendatario del vicino monastero, a cui spettava il mantenimento d’essa e la nomina del parroco. Alla distanza di mezzo miglio dal villaggio esiste il celebre monastero (…). L’antica chiesa di questo cenobio fu ricostrutta nel 1712 dalla pia munificenza del re Vittorio Amedeo II (…). Tra le cappelle che si trovano nei dintorni, evvi quella di S. Eldrado, che è adorna di antichi dipinti, stati ristaurati nel 1828, mentre ne fu riattata la cappella sotto gli auspici dell’abate Stefano Chapuix, e per le cure del P. priore Bonarelli della Rovere. (…). Il territorio di Novalesa non manca di produzioni minerali: nella montagna detta di Bosconero trovasi rame piritoso, così nel suo fianco occidentale, come in quello di levante. Nei dintorni del villaggio esistono: rame solforato e carbonato verde; ed anche quarzo jalino, prismatico, giallo, colorato dal ferro ossidato. Nel sito detto La pietra gialla, poco lunge dall’abitato, evvi una miniera d’oro, che fu coltivata, or fa sessant’anni. A quel tempo se ne speravano prosperi risultamenti; ma per mancanza di fondi si cessò dal coltivarla. Alcuni anni dopo uno scoscendimento di pietre e di terra chiuse l’entrata di questa miniera, e distrusse tutti i lavori che erano stati fatti per purgare il minerale. Popolazione 985.
Valerio Giovacchino, La Novalesa. Antica abbazia, novella casa di salute, Torino, Eredi Botta Tipografi, 1866
pp. 61-64.
E qui levate alto lo sguardo su quel greppo di monte che pensereste staccato da secoli remoti, progenie del Cenisio, e mirate l’antica magna abbazia, nido un tempo di religiosi misteri e di profonde meditazioni, oggi fatto geniale convegno di amabili visitatori. Il vecchio campanile quadrato secondo l’uso dei conventi de’ Benedettini, ed il bruno colore delle mura vetuste fanno fin d’ora mostra di sé (…). La casetta bianca che appare solitaria e dimenticata a mezzo del poggio, altre volte aveva, come si narra, a sé vicina una croce in pietra, altissima, la quale segnava il limite cui non era dato di varcare a piede femmineo.
pp. 94-104.
La porta grande dell’antica chiesa si apriva, ai tempi del chiostro, in una spaziosa aiuola, in cui mette capo il cancello d’ingresso per i visitatori. Quella venne chiusa con muratura; l’adito alle interne parti si ha per due porticine laterali. L’architettura dell’edificio è semplice e ricorda lo stile romano. Lo spazio venne diviso in tre compartimenti: il primo ad uso di caffè; il secondo di gran salone, ove convengono la sera i vari ospiti ai conversari, ai musicali esercizi, ai giuochi di famiglia e talvolta alle danze; il terzo compartimento, formato di quella parte della chiesa inserviente un tempo al coro, ora è destinato alle mense. L’addobbo, se non è elegante, è però pulito e conveniente; il volto è libero e spazioso; l’aria vi circola in tutta ampiezza e purezza. Alla sala del pranzo si viene dall’una parte per la sala di conversazione, e dall’altra per un corridoio che comunica con un porticato, ove sogliono riparare gli ospiti in tempo di pioggia o di vento indiscreto. Questo porticato guarda in un cortile quadrato, nel mezzo del quale havvi una fontana in creta rappresentante Cupido che scherza con un delfino, donde scorga una vena d’acqua freschissima, ed è circondata da verdi zolle a mo’ di parterre, attorno al quale, dopo l’asciolvere e dopo il pranzo, si ha costume di giuocare a boccie; le pareti ai quattro lati corrispondono alle camere dei forestieri. A questi si perviene per mezzo di due lunghi corridoi intersecati l’una l’altro in forma di croce, ed ai quali si ascende per la magna scala di larici (…). La mensa, formata di due prolungati semicircoli a ferro di cavallo, collocati l’uno in faccia all’altro, è capace di oltre ottanta persone. (…) L’asciolvere consiste in un antipasto, il più sovente di patate con burro fresco e di salame; minestra con brodo eccellente; due piatti di carne in umido con guerniture di legumi; frutta, fromaggio. Il vino spilla dalle cantine di Chiomonte (…). E qui vi piaccia seguirmi nel cortile, là ove si apre il porticato a lato della fontana. Una porticina a mano sinistra ci schiude l’accesso alle sale destinate alla cura delle acque. (…) qui s’inabissano due ampie piscine con acque fredde e limpide; qui all’uopo si preparano bagni a diversa temperatura; qui trovate docce a colonna, doccie a pioggia, doccie semicircolari, doccie mobili a gitto continuato od intermittente, doccie locali, infine, tutti quei mezzi di cui si vale il nuovo sistema idropatico per ridonare forza e vigore ai muscoli assottigliati o affranti.
pp. 121-123.
Dove ha termine il muricciuolo, sorge la cappella di Sant’Eldrado. Sono queste le prime mura dell’edificio che appaiono al viaggiatore che da Susa per la vallata della Cinischia si avvia alla casa igienica della Novalesa. (…) Lì presso sta il grande albero di rovere che coi foltissimi rami protegge d’ombra amica il romito santuario. (…) Il tempietto è angusto assai: un piccolo atrio sul limitare accoglie un maggior numero di fedeli, i quali si recano alla messa il dì della domenica. Sul frontone della porta d’ingresso voi vedete dipinto Sant’Eldrado, meditante sulla morte; di sotto si leggono queste parole: Eldradus computat annos vitae meliores. Le dipinture che rappresentano il santo, gli angioli che stanno attorno ed il prospetto del paesaggio ove il frate benedettino medita sugli anni di vita migliore, sono, se il volete, non distinto lavoro d’arte, ma neppure anco spregevole opera; e voi entrate desiderosa e sollecita di trovare in quel recinto antico antiche memorie dei disegni d’un tempo che levò fama di sé negli affreschi come nelle tele. Disingannatevi, signora Maria, io direi empietà il ristauro degli ultimi frati, con cui vollero, per cura del priore Bonarelli della Rovere (…) riattare quei dipinti e quei quadri, se l’imperizia fosse colpa, e se non li assolvesse il pensiero d’aver creduto di far cosa onorevole al santo. Guardate nell’interno, e dite voi se un miscredente avrebbe potuto far peggio in derisione della cattolica fede! Io non mi soffermo a questi sgorbi!
pp. 155-161.
S’apre ordinariamente il pranzo all’uso inglese colle solite patate e burro fresco; il salame, la lingua e il giambone s’alternano colle sardelle marine venute da Nantes nelle scatolette di stagno. La minestra, che aristocraticamente appena accenna a sé, è però sempre fatta con brodo squisito. Quattro piatti più o meno umidi e serviti caldi, come vuole il Chapusot; un arrosto con insalata, un piatto dolce, frutta, formaggio e paste con vino, come vi si disse, che si spilla a Chiomonte. Questo pranzo è sano ed anche confortevole. Talvolta monotono, tal altra volta è ghiotto e tentatore, quando il Lago Maggiore manda alla più leggiadra delle sue Naiadi la trota, regina di quelle acque e meraviglia di queste mense, o quando l’intrepida perlustratrice dei monti tornando da Susa trae seco il servo col cestellino di freschi legumi verzure e frutta, offerti in dono con gentil modo ai commensali. (…) Compiuto il pranzo, una seconda tavola si allestisce in altro sito per le persone addette al servizio speciale degli ospiti della Novalesa (…). Alla Novalesa si giungeva valicando un erto ponte sulla Cinischia dalle acque terse e verdognole. Il villaggio è, come Venaus, un filare di casuccie affumicate e scure, con porte basse che mettono adito a cameruccie prive di luce e di ogni menomo conforto della vita. Anche qui leggiadre testoline di fanciulle, cui è diniegata la pulizia del volto, de’ piedi e degli abiti; anche qui donne streme dalla fatica, ed esseri vegetanti e lottanti tra la miseria e il cretinismo. Ma se la pietà vi stringe il cuore, voi potete confortare l’animo nei preziosi quadri, eredità della magna abbazia, che si raccolgono nell’antica chiesa parrocchiale (…). Sono in particolare a notarsi un quadro del Lemoine, rappresentante la Santa Vergine cui sono sporti omaggi e doni dai pastori e dagli angeli; due altri del Poussin, fra i quali l’Adorazione dei Magi è splendido nel concetto e nelle tinte.
Enea Bignami, Cenisio e Fréjus con una lettera del generale Menabrea, G. Barbèra, Firenze 1871
pp. 332-333.
In un’ora di amenissima strada si giunge all’antica abbazia della Novalesa posta a ridotto del monte che fa gigantesca spalla strada alla strada postale del Moncenisio. Non vi sono più monaci ma un dottore idropatico, un direttore, un vice-direttore, un sotto-direttore, un cuoco, uno sguattero, dei bagnanti che godono perfetta salute e degli incurabili che sperano guarire col rimedio del dottore Sangrado! Tutta questa gente prende dal convento un’aria ed un umore monacale da rabbrividire. Vi capitai una sera d’autunno, e dopo aver tirata la corda della campana comparì non so quale autorità da cui evvi a subire un lungo interrogatorio prima che mi concedesse l’entrata del convento, che non è più convento, della locanda che credevo locanda, ma invece era uno stabilimento idroterapico, che stava per non essere più nulla che quattro mura disabilitate, perché a giorno fisso tutta la magistratura del luogo fa fagotto e torna a Susa, e chi vuol doccie la segua! Per me chiedevo roba solida da cena, non spruzzi d’acqua fresca. Entrai, e Dio volesse non fossi mai entrato! Non già che la cena non fosse saporita ed il letto pulito, fu la tortura morale che dovei subire appena venni nella moderna chiesa fatta sala di convegno, per fumare una sigaretta. Difaccia mi stava una figura tutta pelle, ossa ed occhiali; ho il vizio di essere entrante e ciarlone, non gli avessi mai detto buona sera, come balordamente feci mettendomi a sedere all’istesso tavolino.
Giuseppe Orsi, Ricordi del Moncenisio alla Biblioteca del Presidio del Moncenisio chiede l’onor di offrire Giuseppe Orsi, Tenente nei Bersaglieri, 1883
Biblioteca Diocesana di Susa, copia anastatica del manoscritto per gentile concessione di Archetypon Studio bibliografico.
pp. 144-155.
Dall’ospizio del Moncenisio a Susa per la strada antica di Ferrera. Si percorre la strada nazionale sino alla casa di ricovero n. 5, ivi si prende il sentiero mulattiero sassoso e disagevole che si distacca sulla sinistra e costeggia il profondo burrone della Cenisia, (…) in meno di 20 minuti si giunge alla Ferrera, mirabile villaggio, situato a 1382 metri sopra il livello del mare. Il nome di questa borgata deriva dal latino ferre (portare) e ricorda gli antichi coloni, i quali trasportavano sul dorso o a schiena di mulo uomini e mercanzie al Moncenisio, quando la grande via non era ancora dischiusa. Questo villaggio conta una popolazione di 323 abitanti. Continuando il cammino sul ripido sentiero, dopo un grande numero di giri, seguendo da vicino la Cenischia, il nostro orecchio chiama lo sguardo alle belle cascate dette della Novalesa (…). Ivi il sentiero scende con dolcissimo declivio, lungo la destra sponda del torrente e poco dopo attraversando praterie profumate e boschi si giunge in vista della Novalesa, che si adagia con sussiego sulle prime pendici della montagna del Moncenisio. Poco prima di giungere il sentiero si allarga e si fa strada carreggiabile. È la Novalesa grazioso borgo, nel quale si può dire che l’austero incanto della natura alpestre viene accresciuto dalle attrattive e comodità dei paesi di pianura. La sua altezza sul livello del mare è di 780 metri e conta una popolazione di 1156 abitanti. (…) Fino al principio di questo secolo [XIX] in Novalesa era il punto a cui facevano capo coloro che dovevano traversare il Moncenisio ed era luogo assai ragguardevole pel continuo passaggio di viaggiatori, pel cui servizio si mantenevano circa 9000 muli e nel villaggio si noveravano 42 osterie, ora appena ne sussiste una. Le praterie e il legname fanno la principale ricchezza del paese. Il terreno abbonda pure di minerali di rame, ma non vi esistono miniere. Attraversato il villaggio, e passato su di un ponte in muratura la Cenischia, la strada larga circa da 4 a 5 metri corre lungo la sponda sinistra del torrente. Subito dopo il nostro sguardo è attirato dall’ampio fabbricato dell’antica abazia della Novalesa, posta a ridosso del monte che fa gigantesca spalla alla strada postale del Moncenisio ed alla distanza di circa un chilometro dal villaggio. Una strada carreggiabile che si distacca dalla precedente a 500 metri dal suddetto ponte conduce in 10 minuti sulla ristretta piazzuola ombreggiata da bellissime piante che sta innanzi al fabbricato, l’antico monastero fondato l’anno 726 da Abbone, governatore della Moriana e di Susa. (…) La chiesa del cenobio fu ricostrutta nel 1712 dal re Vittorio Amedeo II, ed è quella che si conserva tuttora, mutata in una casa di salute per la soppressione del convento avvenuta nel 1855. Attualmente non vi sono più monaci; ma nella stagione estiva troviamo un dottore idropatico, un direttore, un vice direttore, un buon cuoco e dei bagnanti che godono perfetta salute. è uno stabilimento idropatico che offre agli accorrenti un gran numero di camere pulite, decentemente mobigliate; procura bagni semplici e a vapore semicupi, i diversi sistemi di doccie e la cura termoelettrica. La chiesa del convento ricostrutta nel 1712 da re Vittorio Amedeo II, divisa in tre bellissime sale è diventata luogo di convegno per caffè, sala a fumare e sala da pranzo. Da diversi anni questo sito diviene nell’estate il convegno di molti forestieri che nella bellezza della valle e nell’aria pura che vi si respira, cercano passatempo e ristoro alla salute. (…) Venaus, villaggio che conta 1352 abitanti.
Giuseppe Monticelli, La Valle di Susa e l’Abbazia della Novalesa (dal 1884 villa del Convitto Nazionale di Torino). Evocazioni storiche, Pinerolo, Tipografia sociale, 1925.
pp. 167-173.
A sud-est del poggio novalicense, sul margine della roccia, sorge la cappella di sant’Eldrado, sulla quale getta un’ombra amici l’antichissima quercia che quei del sito rannodano al ricordo del santo, e chiamano la quercia millenaria. In questo angolo romito, dove si recava la sera il monaco Waltario, l’ortolano, a ripensare al suo torbido passato, soffermiamoci anche noi brevi momenti. (…) Il posto è fortemente suggestivo. Preso un breve respiro osserviamo il modesto tempietto; esso ha tante cose da raccontarci. (…) Per quanto riguarda l’architettura la chiesetta consta di tre parti: una parte a crociera, una parte a botte, e l’abside. Questa è unita alla chiesa propriamente detta, formata dalle altre due parti, mediante il solito arco trionfale. La parte anteriore della chiesa, quella a crociera, è unita alla posteriore, quella a botte, con un grand’arco. Si presenta da sé l’ipotesi che l’abside e la parte coperta col volto a botte siano più antiche, e che il resto appartenga a un posteriore ampliamento. Precede alla porta un atrio, ad arco unico; ma è un lavoro rifatto. Internamente, sotto detto atrio, corre intorno alle pareti un sedile marmoreo, dal quale si drizzano le mezze colonne e i pilastri, che sorreggendo gli archi, costituiscono l’ossatura della chiesa. Esternamente l’abside presenta coronamento ad archetti, tre pseudobifore, e pareti con eguale coronamento. Gli affreschi sono del secolo XIII, del tempo cioè in cui venne eretta la cappella; ma purtroppo vennero rinnovati in non piccola parte nella prima metà del secolo scorso, per cura del priore Bonarelli Della Rovere. Ciò non ostante, rimane ancora molto dell’antico. Le leggende sono scritte in una mescolanza di capitale, di onciale e di gotico della prima maniera, e possono credersi del secolo XIII.
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