La storia plurisecolare dell’abbazia di Novalesa con i suoi ambienti e i manufatti in essa custoditi ne fanno certamente uno dei maggiori centri della cultura monastica d’Italia e d’Europa.
Come spesso accade in questi casi, il complesso e variegato palinsesto delle testimonianze passate sembra connotare in modo preponderante il presente; tuttavia, l’abbazia di Novalesa – lungi dall’essere mero museo di sé stessa – mantiene intatto il senso profondo di una comunità di monaci dediti a una vita di preghiera e lavoro.
Dal loro ritorno nell’estate del 1973, i padri benedettini si sono adoperati per il recupero del cenobio, sia in senso strutturale che spirituale, con la celebrazione dell’eucaristia quotidiana e la recita della liturgia delle Ore, alternate al lavoro e al rapporto con gli altri. Negli anni, infatti, i monaci hanno sviluppato attività di accoglienza e di accompagnamento degli ospiti che giungono a Novalesa alla ricerca di un luogo di raccoglimento e di silenzio, o per una semplice visita. Lo studio, poi, supportato dalla presenza di una biblioteca costantemente accresciuta dalle donazioni di molti, guida ogni padre verso una conoscenza sempre più profonda di Dio e del suo mistero (Gionta 2004, pp. 109-115). Ma il rapporto con il libro e i testi antichi a Novalesa è mantenuto e sviluppato anche attraverso il Laboratorio di restauro del libro antico e della carta, voluto dai primi religiosi che riaprirono il cenobio, forti della loro precedente esperienza nei monasteri di Praglia e San Giorgio a Venezia. Attualmente il laboratorio di restauro è particolarmente apprezzato per la qualità dei lavori svolti e per stare al passo con i tempi si avvale della collaborazione di professionisti laici, nell’ambito di una convenzione con la Fondazione Centro Conservazione e Restauro dei Beni Culturali La Venaria Reale.
La vita culturale della comunità si manifesta anche nell’organizzazione di mostre ed incontri di studio di rilievo nazionale e internazionale, dedicati alla storia del monachesimo nelle sue diverse declinazioni; nella presenza di un “Coro dell’abbazia di Novalesa”, composto da laici e specializzato nel canto gregoriano; e nella disponibilità dei religiosi di garantire percorsi di visita guidati negli spazi principali del monastero, in collaborazione con il Centro Culturale Diocesano di Susa e un gruppo locale di volontari.
Oggi la presenza benedettina a Novalesa si traduce in un “fare memoria” per riflettere sulle valenze profonde delle cose e in una fattiva disponibilità della comunità religiosa a fare dell’abbazia un luogo in cui le persone possano meditare sulla propria esistenza, trovando nel libero confronto con i monaci un esempio di come sia possibile ricercare un senso rispetto a quanto accade e viene vissuto, spesso con disperazione, nel quotidiano.
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