«La Cappella di Sant’Eldrado a Novalesa è un luogo dell’anima….
Una piccola costruzione in pietra, in mezzo a un alpeggio:
con dentro un ciclo pittorico che farebbe gola ai più grandi musei del mondo».
La cappella di Sant’Eldrado, sita all’interno del recinto abbaziale del cenobio dei Ss. Pietro e Andrea di Novalesa, costituisce il paradigma cronologicamente più alto nell’ambito della produzione pittorica conservatasi in Valle di Susa. Costruito all’inizio dell’XI secolo (tranne il portico antistante di matrice seicentesca), il sacello sorse sul sedime di una cappella più antica, dove subito dopo la morte del santo – verso la metà del IX secolo – le sue spoglie mortali divennero oggetto di devozione.
La piccola aula di preghiera è dominata dalla ieratica compostezza del Pantocratore del catino absidale, qui assiso su un trono incastonato di gemme, a sua volta inscritto in una mandorla affiancata dalle due figure angeliche di Michele e Gabriele. L’espressione impassibile del Cristo onnipotente, che sembra seguire con lo sguardo ogni movimento all’interno del sacello, rivela l’ira di un Dio che vuole mantenere l’uomo nella Legge e al contempo la Sua misericordia nel giudicare l’agire di ciascuno. La presenza del Redentore è resa ancor più concreta da brevi dettagli, come il rigonfiarsi del cuscino sotto il suo peso (a indicarne la reale consistenza fisica) e il sovrapporsi della mano benedicente alle linee dello sfondo (cosa che infonde tridimensionalità al gesto). Ai piedi del Pantocratore, inseriti tra le finestrelle, vi sono San Nicola in paramenti episcopali, a sinistra, e Sant’Eldrado in saio scuro, a destra. Accanto a loro sono inginocchiati rispettivamente un monaco (forse il pittore principale che affrescò la cappella) e Adraldo, abate di Breme, in cui si è voluto riconoscere il committente del ciclo pittorico. La navata della cappella – chiusa in controfacciata da un Giudizio Universale – è divisa in due campate, dedicate alle Storie della vita di Sant’Eldrado e a scene della vita di San Nicola di Myra. La presenza di queste ultime – considerate uno dei più antichi esempi in Occidente di ciclo figurato consacrato al vescovo orientale – è stata ricondotta al passaggio in abbazia, tra il 1096 e il 1097, della reliquia di un dito del santo, poi trasportata in Francia a Saint Nicolas de Port. Inoltre, la scelta di affiancare San Nicola a Eldrado – al quale presumibilmente doveva essere dedicato in origine l’intero ciclo – dovette rispondere a un intento celebrativo teso a rafforzare l’immagine del cenobio novalicense agli occhi della pietà popolare attraverso una figura universalmente nota. In particolare, sulla volta si riconoscono: il rifiuto di Nicola, nel giorno del venerdì, del latte materno; Nicola che porta a un ricco mercante, caduto in miseria, la somma necessaria per la dote delle figlie; l’elezione di Nicola a vescovo di Myra e la sua consacrazione episcopale. Sulle pareti, invece, si scorgono la scena in cui il santo salva tre fanciulli innocenti che stanno per essere colpiti dalla spada e, sul lato opposto, l’intervento miracoloso di Nicola che sventa un maleficio della dea Diana, il cui culto, insieme a quello di altri dei, era stato debellato dal presule. Riferibile pertanto alla fine dell’XI secolo, il linguaggio figurativo espresso nel sacello è stato ricondotto a un atelier lombardo, non lontano dai cicli di Oleggio, Como, Civate, Lugano e Aurogo, espressione di un romanico di caratteristica e contenuta impronta bizantineggiante, connotato altresì da un’attenta e precisa descrizione della realtà, che trova nel gomitolo riposto nel cesto dinanzi alla madre di San Nicola una tra le più antiche nature morte della pittura medioevale (Segre Montel 1988; Segre Montel 1994a, p. 39; Segre Montel 1994b). Qui, attraverso una densa stesura cromatica che marca figure, architetture e paesaggi di sfondo e che accentua contorni e passaggi chiaroscurali, prende forma, in concomitanza con la rinascita e la graduale ristrutturazione in forma di priorato dell’antico insediamento monastico della Val Cenischia, l’esperienza umana e spirituale di Eldrado, assunta quale esempio di virtù e quale rappresentante della più gloriosa tradizione locale. Secondo una narrazione agiografica già consolidata, gli affreschi danno corpo all’uomo intento a lavorare la terra presso il paese natale di Ambillis; al pellegrino che, dopo aver ricevuto dalle mani di un sacerdote il bastone e la bisaccia necessari al suo viaggio, raggiunge stanco e provato nel fisico il monastero di Novalesa; al novizio che veste l’abito monastico sotto l’abbaziato di Amblulfo; al religioso capace di azioni miracolose (come liberare il monastero di Monêtier-les-Bains dalle serpi che lo infestavano); e, infine, al vecchio abate sul letto di morte, al quale due confratelli prestano gli ultimi conforti spirituali, mentre sul suo volto discende dall’alto un raggio di luce, simbolo della presenza di Dio nel suo vero dies natalis (Ludovici 2014, pp. 86-88; Uggè 2012, pp. 25-30).
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