Il complesso architettonico di Novalesa, con il suo corpus di arredi, decorazioni pittoriche, dipinti, suppellettili, libri antichi e reperti archeologici, rappresenta in maniera esemplare i tratti distintivi del patrimonio storico-artistico della Valle di Susa, da sempre crocevia imprescindibile nelle rotte di comunicazione della storia europea tra l’Italia e l’Oltralpe. Tra le mura del cenobio, infatti, si coglie a pieno l’intreccio di saperi, interessi e sensibilità che nel corso dei secoli hanno permeato la vita dei luoghi e delle comunità all’insegna dei diversi apporti culturali provenienti dai due versanti alpini.  

Il confronto è con una produzione artistica “di frontiera”, connotata dalla costante alternanza d’influenze esterne e lontane con accenti locali, di soluzioni ingenue e popolari con interpretazioni auliche, di formule tradizionali contrapposte alle innovazioni del momento. Così, secondo una dinamica ricorrente nell’ambito alpino, parlare di «frontiera» vuole dire parlare di un limite e allo stesso tempo di un orizzonte aperto connotato da un palinsesto figurativo eterogeneo in grado di comprendere sia tendenze durevoli e coerenti nel tempo sia episodi sporadici e isolati, il tutto al di là di ogni apparente contraddizione.

In un contesto così eterogeneo è però possibile rintracciare la continuità di un fare artistico che tocca i suoi punti più alti e profondi nel racconto dell’esistente, nella comunicazione del “sacro” che è nell’uomo e nell’ambito dei sentimenti comuni. Al di là delle epoche, quindi, quest’arte che abbiamo definito “di frontiera” sembra restare sempre fedele alla necessità di coniugare forme, funzioni e contenuti per esprimere con efficacia ogni aspetto dell’umano e del trascendente.  

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