In ambito monastico la preghiera e il lavoro manuale sono due lati della stessa medaglia, opposti in apparenza, ma di fatto inscindibili e dipendenti l’uno dall’altro. 

Il labor manuum svolto dai monaci trova una sua prima ovvia giustificazione nella necessità di sostenere materialmente la comunità dei confratelli, ma ha anche una valenza etica in quanto garantisce quell’autonomia economica da cui deriva la possibilità di coltivare la propria ascesi limitando il più possibile le interferenze del mondo esterno. Tuttavia, l’autosostentamento può valere per le realtà più piccole, ma diventa impraticabile con il crescere del numero dei confratelli. Da qui la necessità – già esplicita nella Regola del Maestro – di disporre di un patrimonio di beni immobili da cui trarre rendite durevoli.

Lavorare insieme agli altri con le proprie mani – come avevano fatto gli Apostoli – insegna la disciplina, la perseveranza e l’obbedienza, infondendo alla fine della giornata una positiva stanchezza, atta a stimolare il “riposo con Cristo” e a scacciare i pensieri e i sogni più tormentati. 

Le diverse Regole monastiche distinguono vari responsabili per ogni funzione logistica richiesta dal cenobio. Al di là delle specifiche realtà, in generale si distinguono le figure del preposito, del sacrestano, del cellerario e del portinaio. Il primo si occupa della gestione degli affari generali del monastero, sovraintende l’amministrazione dei possedimenti, cura i beni fondiari (seguendo la semina dei campi, la coltura delle vigne e le piantumazioni), vigila sull’allevamento delle greggi e coordina la costruzione degli edifici e il lavoro di fabbri e carpentieri. Il sacrestano si occupa dell’oratorio, dà il segnale di inizio degli Uffici divini e custodisce le suppellettili liturgiche. Al cellario, invece, era demandata la gestione della cucina e della dispensa, nonché la custodia di tutti gli utensili. Il portinaio, infine, vigilava sui locali esterni del cenobio (come la foresteria), preoccupandosi dell’ospitalità offerta a pellegrini, ospiti e viandanti in genere. 

A corollario delle mansioni manuali si ponevano la lettura della Bibbia e lo studio dei testi dottrinali, ai quali dalla seconda metà del sec. VI si affiancò l’esercizio della scrittura, sia nell’ambito dell’insegnamento scolastico, sia in quello della trascrizione e diffusione di opere librarie. Infatti, con il naufragio del mondo tardoantico e il conseguente declino socio-economico delle città e dei ceti egemoni di origine romana, la cultura scritta e le principali sedi deputate alla formazione scolastica subirono una drastica regressione in molte regioni dell’Occidente, lasciando ai monasteri il ruolo di custodi della parola scritta (Marazzi 2015, pp. 101-106).

Nell’Alto Medioevo il libro è ormai un oggetto raro e costoso, scritto non più su papiro ma su pergamena (di solito pelle ovina), secondo nuove forme di scrittura (onciale e semi-onciale) in grado di contenere più parole per pagina. Copiare bene un libro diventa un servizio religioso, una forma di preghiera e meditazione a cui la mano guidata dall’intelletto dà corpo in appositi ambienti dominati dalla luce e da un operoso silenzio: gli scriptoria. 

Spesso i monaci riutilizzano i fogli già scritti dopo averne raschiato i testi (i cosiddetti palinsesti) per copiare le opere di loro maggiore interesse (Sacre Scritture, libri liturgici, scritti cristiani, grammatiche), sacrificando parte della lettura profana, ritenuta meno utile alla Salvezza. Tuttavia, sin dal V secolo la cultura latina appassionò i monaci irlandesi che trascrissero i pochi libri che importavano dalle Gallie, sviluppando una bella scrittura semi-onciale dai caratteri propri, il cui massimo esempio si trova nel Libro di Kells, conservato al Trinity College di Dublino. Tra il VI e il VII secolo l’’azione missionaria dei monaci irlandesi favorì la diffusione e l’interesse verso la cultura latina presso gli scriptoria dei monasteri da loro fondati in Scozia, Inghilterra e sul continente. Sulla scia dell’irlandese Colombano, tra VII e VIII secolo, i missionari anglosassoni Willibrordo e Bonifacio e i loro successori fino al IX secolo esercitarono un influsso sull’Europa e in particolare sulla Chiesa franca e in Germania, dove sorsero le sedi episcopali di Magonza e Würzburg e una costellazione di monasteri (tra cui Fulda e Hersfeld) che divennero subito importanti centri di raccolta e di diffusione di libri. Opere antiche (classiche e cristiane) introvabili sul continente ricominciano a circolare perché riprodotte e conservate nei centri inglesi. Negli stessi anni dalla Spagna visigota spodestata dall’arrivo degli Arabi, giungono in Germania i fondatori dei monasteri di Reichenau e Murbach. Alla vigilia della rinascita carolingia si viene formando una nuova scrittura destinata a sostituire tutte quelle “scritture nazionali” che erano derivate dalla corsiva romana: essa fu chiamata minuscola carolina e il suo prototipo è la Bibbia dell’abate Mordrammo di Corbie (772-780) e il suo successo fu dovuto alla politica di Carlo Magno e dei suoi successori e perdurò sino al XII secolo. A coordinare l’organizzazione culturale del costituendo impero franco fu Alcuino, monaco anglo-sassone originario di York, dove si trovava uno dei più ingenti e accurati depositi librari dell’epoca. Presso la corte di Carlo Magno si formò una straordinaria raccolta di opere classiche, copiate e trasmesse alle principali abbazie dell’Impero, che a loro volta trascrivevano e si scambiavano libri nella nuova e leggibilissima scrittura carolina. 

I principali scriptoria carolingi furono Tours, Fleury, Ferrières Auxerre, Lorsch, Reichenau, San Gallo e Fulda. I testi non furono solo copiati, ma anche riletti ed emendati con cura filologica. Col tempo si diffuse l’interesse per le opere più sconosciute e per le copie più accurate per grafia e preziosità delle decorazioni. 

Con il declino dei Carolingia, anche la produzione libraria andò in crisi, per poi riprendersi in epoca ottoniana nel X secolo, grazia agli scriptoria monastici e di prestigiose sedi vescovili. Il monachesimo modellato su Cluny ristabilì una rete internazionale di relazioni tra cenobi a beneficio del commercio e della produzione di libri. Sotto il profilo del recupero e della conservazione di importanti classici latini, il più grandioso avvenimento dell’XI secolo fu lo stupefacente risveglio culturale e artistico di Montecassino sotto la guida dell’abate Desiderio (1058-1087). 

Nel XII secolo ai monasteri si affiancò il grande sviluppo delle scuole cattedrali e cittadine, orientate verso una cultura più dinamica e specializzata in ambiti come il diritto, la medicina, la dialettica, il quadrivio e la letteratura. Nel Duecento la maggior gli scriptoria secolari divennero maggioritari in una logica di mercato sottoposta alla concorrenza e alla moda. In parallelo si diffonde la scrittura gotica secondo diverse declinazioni locali, spesso legate ai principali centri universitari (Parigi, Oxford, Bologna, ecc.). 

In ambito universitario, l’accresciuto bisogno di libri ne condiziona la fattura secondo un’inedita produzione in serie. Chi era interessato a una copia si rivolgeva allo stazionario presso cui l’autore aveva depositato la propria opera, trascritta a pezzi (peciae) di testo, ognuno corrispondente a un fascicolo di pochi fogli, venduti a tariffa. Di pari passo, gli ordini monastici mendicanti, si dotano di propri laboratori librari per rifornire le biblioteche dei propri studia provinciali e conventuali. I testi classici vengono tradotti anche in volgare per andare incontro alle richieste del pubblico colto aristocratico e alto-borghese, committente a sua volta di libri d’ore e salteri splendidamente miniati, bibbie moralizzate, libri di viaggi, opere letterarie illustrate dei moderni scrittori in volgare. 

Nel Trecento la diffusione della carta abbassò i prezzi dei libri, facilitandone la produzione e la diffusione. Al contempo, la carta favorì il proliferare di scritture documentarie (delle cancellerie e dei notai) spesso di difficile leggibilità, alle quali, verso il 1400, grazie all’umanista Gian Francesco Poggio Bracciolini, si contrappose la lettera antica che reinterpretò e ripropose le forme ben più accessibili della minuscola carolina, ponendosi alla base dei futuri caratteri a stampa (Marabelli 2007, pp. 66-71).

  1. Home
  2. /
  3. La città dei monaci nel Medioevo  
  4. /
  5. Ora et labora: fra chiostro e scriptorium 
© Copyright Il Tesoro di Eldrado