Vivere secondo la regola

Il Tesoro di Eldrado

Gli storici sono concordi nel ritenere che i secoli IV e V siano stati il periodo in cui hanno preso corpo i più antichi testi normativi legati alla fondazione delle prime comunità monastiche d’Occidente, sorte, per lo più quali realtà autonome rispetto alle gerarchie ecclesiastiche locali. Quella che eserciterà per tutto il medioevo la maggior influenza viene redatta da San Benedetto verso la metà del VI secolo, a partire da documenti più antichi, quali il De institutis coenobiorum di Giovanni Cassiano e la Regola del Maestro (Bianchi 2001, p. XXXI; Picasso 1987, pp. 11-12; Schmitt 2021, pp. 58-62). 

Se da un lato ogni regola monastica fa storia a sé, in quanto scaturita dall’esperienza individuale del suo estensore per servire alle necessità di una particolare comunità, dall’altro lato è pur vero che tutte le Regole trovano un loro comune denominatore nel concetto base che la vita ascetica, vissuta in comunità, necessita di norme in grado di garantire l’equilibrio tra le singole individualità che si riconoscono nella fuga mundi. In quest’ottica il termine latino regula non va inteso nel senso di norma coattiva, ma semmai di parametro, misura dei retti comportamenti a cui ogni monaco deve conformarsi.  

In generale, ogni regola rispose alla duplice finalità di stabilire la struttura e le dinamiche interne alla famiglia monastica e i modi in cui questa avrebbe interagito con la società. Pertanto, è facile comprendere come ogni testo riproponesse la medesima struttura logica, affrontando l’organizzazione della comunità e delle gerarchie al suo interno, per passare alla scansione temporale della giornata fra preghiera, lavoro e rapporti con il mondo esterno. 

In generale, le Regole altomedievali danno voce a un mondo monastico che non intende porsi in conflitto con la Chiesa e le sue gerarchie, ma che ha fortemente a cuore la definizione della propria identità e la salvaguardia della sua autonomia in campo spirituale e nella gestione del proprio quotidiano; parimenti i rapporti con laici ed esponenti del potere secolare non sono esclusi a priori, trovando nella realtà dei fatti il sostegno di re, aristocratici, papi e vescovi nella fondazione e nello sviluppo di diversi cenobi.    

Un ruolo preminente è riservato all’abate, che ha la responsabilità assoluta della vita dei confratelli e si occupa della loro guida spirituale. L’abate governa sui monaci come Cristo sugli Apostoli, quindi in forza di un’autorità assoluta e incontestabile, ma dovrà farlo con magnanimità e misericordia; in questo difficile compito è affiancato dai monaci più anziani che agiscono come consiglieri e, nel caso di preposito o priore, provvedono all’organizzazione dei bisogni pratici dei confratelli. 

Lo status monacale impone l’abbandono di ogni possesso personale e di ogni legame con la vita precedente. Il cenobio diviene la nuova casa del monaco, in cui ogni bene è vissuto in condivisione secondo condizioni e limiti precisi. Il distacco dal mondo e la preparazione all’incontro finale con Dio sono accompagnati dalla preghiera, vero e proprio viatico verso la Salvezza e unico flatus vocis che possa rompere il silenzio che circonda la vita in comunità. 

Per potersi garantire il privilegio di una vita consacrata alla preghiera e al colloquio con Dio, i monaci devono lavorare e cooperare per procurarsi il necessario per vivere, riservando a tale scopo tempi precisi. I pasti e il riposo devono essere soddisfatti senza scadere in eccessi e pericolose indulgenze; le uniche eccezioni consentite sono riservate a malati e anziani (Marazzi 2015, pp. 84-88).   

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