DEPOSIZIONE DALLA CROCE
Giulio Campi, attribuito a (Cremona, 1502-1572)
1550-1570 ca.
olio su tela
Dimensioni
Restauri: Venceslao Bigoni 1903-1904;
Ubicazione: Chiesa parrocchiale di S. Stefano Martire di Novalesa.
Provenienza: Abbazia dei Ss. Pietro e Andrea di Novalesa.
Bibliografia: Di Macco 1988; Ruffino 2000, pp. 73-74; De Blasi 2005, p. 79.
Tradizionalmente attribuita a Daniele da Volterra, l’opera è stata riferita dagli ultimi studi all’atelier cremonese dei Campi, e più precisamente a Giulio Campi sulla base di un disegno preparatorio, non perfettamente rispondente all’iconografia del dipinto, eseguito a penna su carta bianca e conservato all’Albertina di Vienna. Inoltre, il gruppo della donna di spalle e della vicina, sulla destra del dipinto, si trova quasi trasposto nella Storia di Ester e Assuero eseguito da Giulio per il Duomo di Cremona. Tuttavia, nella chiesa dei Ss. Siro e Sepolcro della stessa città si conserva un dipinto di soggetto e iconografia identici a quelli di Novalesa, opera precoce di Vincenzo Campi, cosa che confermerebbe la difficoltà di attribuzione in una realtà quale quella dei fratelli Campi, in cui disegni e modelli venivano scambiati e riutilizzati (Di Macco 1988, p. 445; Ruffino 2000, pp. 74-75).
La Deposizione, citata nell’inventario generale del Musée Napoleon del 1810, in cui è registrata la destinazione all’Ospizio del Moncenisio, proveniva dalla Pitié, un ospizio fondato a Parigi nel 1612 da Maria de Medici come rifugio per mendicanti. Con la rivoluzione, la struttura divenne esclusivamente un orfanotrofio e fu spogliata delle opere d’arte. Il dipinto passò, già in pessime condizioni conservative, in uno dei depositi i cui materiali confluirono poi al Museo del Louvre, dove fu registrato e restaurato nel 1794 da A. Lenoir, responsabile del Depôt National des Monuments de France (Ruffino 2000, pp. 74). Nel 1813, la tela fu ricompresa in una serie di cinque dipinti trasferiti per volere di Napoleone dai depositi del Museo del Louvre alla chiesa dell’Ospizio del Moncensio. In seguito, con il ritorno dei monaci benedettini presso l’abbazia di Novalesa nel 1821, la tela, insieme a tutti gli altri arredi e suppellettili dell’Ospizio del Moncenisio, fu trasferita nella chiesa abbaziale dei Ss. Pietro e Andrea, dove rimase sino alla soppressione di quest’ultima nel 1855-1856, passando poi alla sua ubicazione attuale all’interno della vicina chiesa parrocchiale di S. Stefano.
A livello iconografico, il dipinto fissa sulla tela il momento in cui il corpo pallido ed esamine di Cristo viene calato dalla croce per essere restituito al pianto e alle cure della Vergine prima della sepoltura. In linea con i testi evangelici e con quanto elaborato dalla tradizione devozionale successiva, Maria è ritratta semisvenuta insieme alle sorelle (Maria di Cleofa e Maria di Salome) che la sostengono con l’aiuto della Maddalena. A destra si scorge il profilo di San Giovanni Apostolo, il cui sguardo segue con apprensione la scena, mentre Giuseppe d’Arimatea e il più anziano Nicodemo, assisi su una doppia scala, calano il corpo del Salvatore con l’aiuto di un terzo uomo che da terra ne cinge con forza le gambe, pronto a sostenerne tutto il peso. L’affollamento dei personaggi attorno alla croce e l’insieme dei loro gesti ed espressioni restituiscono con chiara evidenza la concitazione del momento, suscitando la viva partecipazione dell’osservatore.