POLITTICO DELLA NAVITA’
(Sant’Eldrado con committente Andrea Provana, Natività, Sant’Arnulfo, registro principale; San Pietro, Resurrezione, San Paolo, registro superiore)
Antoine de Lonhy (bottega di)
1500 ca.
tempera e oro su tavola
193 x 280 x 22 cm (con cornice); 183 x 242 cm (senza cornice)
Restauri: 2016, Doneux e Soci s.c.r.l. di Torino, indagini di Thierry Radelet, sotto la direzione di Valeria Moratti. Il restauro ha recuperato le cromie originali, rimuovendo le vernici alterate e restituendo così una buona leggibilità all’opera. In alcuni punti sono state eleminate ridipinture e particolari aggiunti (in quanto dipinti sopra le vernici); inoltre sono emerse cadute di colore che hanno evidenziato il disegno preparatorio (come nel caso dei manti del Cristo risorto e del committente). Inoltre, le indagini diagnostiche effettuate hanno evidenziato che l’opera è stata realizzata a tempera, su una preparazione di colore chiaro e di medio spessore, con campiture più sottili che lasciano trasparire il disegno preparatorio, tracciato con inchiostro dato a pennello. Tra i pigmenti usati sono stati riconosciuti l’azzurrite per i manti ed il cielo, il cinabro per i rossi e pigmenti a base di rame per i verdi e le lacche.
Ubicazione: Chiesa parrocchiale di S. Stefano Martire di Novalesa.
Provenienza: Abbazia dei Ss. Pietro e Andrea di Novalesa.
Bibliografia: Guerrini 1993, pp. 163-181; Ruffino 2000, p. 79; Gentile 2004, pp. 86-88; Moratti 2016; Natale 2021, pp. 30-35.
Mostre: Milano 2016.
Il polittico conta tre pannelli verticali in legno di noce, su cui sono dipinte a tempera e oro sei scene suddivise in due registri, scanditi da un’elegante cornice dorata, ridisegnata in stile neo-gotico a inizio Novecento. Al centro dell’opera è posta la Natività, affiancata dalle raffigurazioni di Sant’Eldrado con il committente Andrea Provana (a sinistra) e Sant’Arnulfo (a destra); mentre nel registro superiore la Resurrezione di Cristo è accompagnata dalle figure stanti di San Pietro (a sinistra) e San Paolo (a destra). Alle spalle della Resurrezione si scorgono in simultanea gli episodi evangelici successivi sino all’Apparizione in Emmaus, mentre sullo sfondo della Natività si riconoscono la profetessa Anna e Zaccaria che preannunciano la vita e la morte di Gesù. Nei pannelli laterali, invece, ogni personaggio è ritratto all’interno di padiglioni architettonici di marca rinascimentale, scanditi rispettivamente da colonne, pilastri e volte che digradano prospettivamente verso fondali aperti sul paesaggio, il tutto secondo un’impostazione tendente a infondere unità e armonia alla composizione. In origine alla base della pala d’altare doveva figurare una predella istoriata con scene connesse a quelle principali; entro la fine dell’Ottocento, però, tale elemento è stato sostituito con una base di altezza limitata con specchiature campite di colore pieno.
A commissionare l’opera fu l’abate commendatario Andrea Provana di Leinì, intorno al 1502, nell’ambito di un più ampio programma di interventi e ristrutturazioni del cenobio novalicense, promosso a partire dal 1480. Il polittico ornava l’altare maggiore del sacello di Sant’Eldrado – già dei Ss. Cosma e Damiano – posto tra la chiesa abbaziale e il lato nord del chiostro sino alla sua demolizione ai primi del Settecento. Il dipinto concorreva, quale aulico fondale, a dare risalto all’urna reliquiario di Sant’Eldrado posizionata sulla mensa liturgica, fulcro di una collezione di reliquie (e reliquari) custodita, insieme alla memoria documentale della fondazione monastica, all’interno della cappella, ornata altresì da un esteso ciclo parietale con le Storie della vita di Sant’Eldrado. Nell’insieme l’aula di preghiera doveva rispondere al desiderio di Andrea Provana di esaltare in un unico momento i fasti e i tesori del cenobio, ponendo nel punto di maggior rilievo lo scrigno con i resti mortali di Eldrado seguito a breve distanza dalla figura “vivente” dello stesso santo, che in veste di abate è ritratto nel registro inferiore del polittico nell’atto di presentare verso la scena centrale della Natività il committente, immortalato quale erede e continuatore della tradizione secolare del cenobio (Gentile 2004, pp. 86-88).
Gli studi più recenti hanno attribuito il polittico al tolosano Antoine de Lonhy e alla sua bottega. Questi, documentato ad Avigliana dal 1462, lavorò dapprima come pittore e miniatore per alcuni tra i maggiori esponenti della corte borgognona di Filippo il Buono: dal gran cancelliere Nicolas Rolin, per cui progettò le vetrate della cappella del castello di Athumes, al vescovo Jean Germain, che gli commissionò la scena di dedica del Mappamonde spirituelle, a Ugo di Clugny, che gli affidò un proprio Libro d’Ore. Nel sesto decennio del secolo si trasferì a Tolosa, da dove dopo numerosi incarichi approdò a una delle sue commissioni più prestigiose: la vetrata per il rosone della facciata della chiesa di Santa Maria del Mar a Barcellona (1461). Giunto nel ducato sabaudo, forse per il tramite di Ugo di Clugny, luogotenente di Filippo di Brosse, fratello minore di Amedeo IX di Savoia, o di Guglielmo d’Estouteville, suo committente negli anni in cui era vescovo di Saint Jean de Maurienne (1453-1483), nonché commendatario di San Giusto di Susa, il de Lonhy lavorò per rappresentanti del potere ecclesiastico e civile sino ai prodomi del Cinquecento, proponendo una maniera di marca fiamminga distinguibile per la perentoria consistenza scultorea di figure e architetture e la contegnosa malinconia dei personaggi. A Novalesa lo stile del maestro tolosano incontrò il favore dei commendatari Giorgio e Andrea Provana di Leinì. Infatti, oltre al polittico della Natività, per il primo l’artista eseguì i Santi Benedettini del presbiterio abbaziale (1480 ca.), che paiono ricalcare l’allestimento di una sacra rappresentazione, qui dedicata alla celebrazione dell’Ordine benedettino, mostrandosi in dialogo tra loro con volti fortemente caratterizzati a guisa di realistici ritratti. Al contempo, l’impegno del pittore si estese anche alla decorazione parietale della cappella della Vergine, fondata nell’ultimo quarto del secolo e oggi riconoscibile nella sacrestia adiacente al coro. Il ciclo – ormai frammentario – conserva le figure di otto Profeti annuncianti l’elezione e la gloria di Maria quale madre del Verbo incarnato. Tra tutti spiccano i volti del vecchio Isaia, dai tratti spigolosi e lo sguardo severo, e quello di Malachia, colto in un profilo che ne evidenzia il naso e il mento pronunciati (Guerrini 1993, pp. 163-181; Gentile 2004, pp. 81-82; Natale 2021, pp. 30-35).