VISIONE MISTICA DI SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE


Ignazio Nepote, attribuito a (Rivoli 1710-Torino, 1780)

1750-1775 ca.

olio su tela

Dimensioni

Restauri:

UbicazioneChiesa parrocchiale di S. Stefano Martire di Novalesa.

ProvenienzaAbbazia dei Ss. Pietro e Andrea di Novalesa.

BibliografiaDi Macco 1988; Ruffino 2000, p. 74; Ludovici 2011, p. 289; Rizzo 2011, p. 124.

L’abbraccio di Cristo dalla croce che si appresta a far bere a San Bernardo il sangue che sgorga dalla ferita del costato è un’iconografia tipicamente postridentina. L’episodio è raccontato nell’Exordium Magnum Cistercense, scritto alla fine del XII secolo da Corrado di Eberbach, dove si legge che l’abate di Mores vide il crocifisso apparire al santo e improvvisamente Cristo staccò le braccia dalla croce abbracciandolo. La scena coglie uno dei punti centrali nel pensiero di Bernardo, il sacrificio della passione e la partecipazione al mistero della salvezza. Come da tradizione, il santo è ritratto ancora giovane, con i soli attributi della cocolla bianca cistercense e del pastorale, qui sostenuto da un angioletto, mentre i particolari più drammatici del racconto, come il fiotto di sangue che zampilla dal corpo di Cristo e la presenza del diavolo, schiacciato ai piedi del santo, sono qui omessi in favore di una scena più edulcorata.

Non si hanno indicazioni circa la provenienza del dipinto, documentato nella parrocchiale di Novalesa nel 1873, insieme con quelli provenienti dall’abbazia. La scelta del soggetto ritratto lascia presumere che la realizzazione dell’opera sia stata promossa dai Padri cistercensi, che dal 1646 erano subentrati ai benedettini nella conduzione del cenobio. L’opera, quindi, dovette giungere in Santo Stefano dopo la soppressione dell’ente religioso nel 1856. L’analisi stilistica del dipinto ha spinto la critica a vedervi l’intervento di Ignazio Nepote, allievo di Sebastiano Conca e prolifico autore per diverse chiese e congregazioni religiose del Piemonte nel XVIII secolo. Privo di vistose evoluzioni, il suo stile nel tempo si è distinto per la morbida resa dei panneggi e un colore sempre più denso e schiarito, esemplato sui modelli dell’innovativo classicismo di Conca e di Guido Reni. Tuttavia, nella maniera di Nepote a prevalere sono i dettagli fisionomici e una rappresentazione ad evidenza fittizia e ingessata, che spesso scade in soluzioni stereotipate e insistite ripetizioni tipologiche (Rizzo 2011, p. 124). In ambito valsusino la fortuna dell’autore è confermata dalla presenza di tre tele eseguite per l’antico convento dei Padri cappuccini di Susa (Martirio di San Fedele da Sigmaringen, 1750 ca.; San Fedele da Sigmaringen e San Giuseppe da Leonessa, 1750 ca., Supplizio di S. Giuseppe da Leonessa,1750-1775 ca.) e attualmente conservate presso il Museo Diocesano della stessa città (Ruffino 2000, p. 74; Ludovici 2011, p. 289).